domenica 18 agosto 2024

Aberrante

 

Fisco, il sud del mondo si ribella: “decida l’Onu”
LO SCHIAFFO ALL’ACCORDO TRA I PAESI OCSE - La tassa sulle multinazionali. 110 Stati hanno approvato una convenzione globale per superare l’intesa attuale L’Europa spaccata si astiene: Roma e Parigi remano contro
DI NICOLA BORZI
Con un’alleanza storica tra Paesi del Sud del mondo, due giorni fa 110 Stati membri dell’Onu hanno approvato la richiesta avanzata da un Comitato ad hoc per il varo di un nuovo trattato fiscale globale sui profitti delle grandi multinazionali. Il voto è uno schiaffo in faccia all’accordo per l’imposta mondiale del 15% sui profitti delle maggiori aziende, voluto dall’Ocse ed entrato in vigore da quest’anno. La misura decisa dall’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico è stata infatti bocciata dai Paesi poveri sia nel metodo che nel merito, giudicata iniqua verso il Sud del mondo perché ancora troppo sbilanciata verso i Paesi ricchi anche sul fronte della redistribuzione del maggior gettito globale.
Lo scontro si è mostrato in tutta la sua ampiezza il 16 agosto al Palazzo di Vetro di New York: la proposta della nuova convenzione Onu ha ricevuto 44 astensioni tra le quali quelle dei Paesi Ue, Italia compresa, e 8 voti contrari espressi da Australia, Canada, Israele, Giappone, Nuova Zelanda, Corea, Regno Unito e Stati Uniti. Ora la misura è attesa a una difficoltosa navigazione tra trattative diplomatiche, scambi sottobanco e veti incrociati, ma nelle intenzioni di chi l’ha proposta, come pure negli auspici di una coalizione di organizzazioni non governative e della società civile, potrebbe cambiare in modo determinante la sorte di molti Paesi e dei loro abitanti.
Nei prossimi 10 anni saranno 4.800 i miliardi di dollari che grazie ai vuoti legislativi, a norme di comodo, a elusione o evasione saranno persi dal Fisco mondiale, secondo i dati elaborati dall’Università scozzese di St Andrews nel rapporto The State of Tax Justice 2023 della Ong Tax Justice Network. A sottrarre questa enorme massa di denaro, pari a quasi due volte e mezzo il Pil italiano, saranno soprattutto le multinazionali e i ricchi che utilizzano i paradisi fiscali per sottopagare o non pagare del tutto le tasse. Con 480 miliardi di dollari l’anno di gettito fiscale, nel mondo si potrebbero realizzare molte cose: 15 milioni di persone potrebbero ottenere l’accesso all’acqua, 32 milioni ai servizi igienici di base, 2 milioni di bambini in più frequenterebbero la scuola, altri 36.900 (più di 100 al giorno) non morirebbero nei primi mesi di vita, mentre oltre 11 madri si salverebbero ogni giorno da infezioni mortali. Per questi e altri motivi, primo tra i quali la tutela della pari dignità dei propri abitanti, i Paesi del Sud del mondo hanno ribaltato in sede Onu l’accordo fiscale Ocse, che ritengono sbilanciato sia sul fronte della minima redistribuzione del gettito fiscale ottenuto dalla tassazione dei profitti delle multinazionali che su quello, prioritario, dell’iniquità delle procedure attraverso le quali è stato raggiunto.
Il Comitato ad hoc dell’Onu incaricato di redigere i termini di riferimento della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sulla cooperazione fiscale internazionale ha approvato il pacchetto delle linee guida per il nuovo trattato. Nelle intenzioni dei Paesi proponenti si vuole costruire un sistema fiscale internazionale legittimo, equo, stabile, inclusivo ed efficace che consenta di mettere a frutto le loro risorse economiche e la politica fiscale per lo sviluppo sostenibile. Ora il mandato del Comitato, approvato a maggioranza, sarà inviato all’Assemblea generale dell’Onu che lo voterà nella sessione di settembre. Se la mozione sarà adottata, l’Assemblea farà redigere la Convenzione e due protocolli da un Comitato di negoziazione guidato dagli Stati membri che si riunirà per i prossimi tre anni. Il testo finale sarà esaminato dall’Assemblea generale nel primo trimestre del 2027. Tra tre anni, quindi, tutti i 193 Stati delle Nazioni Unite potrebbero essere chiamati a votare il testo definitivo del trattato fiscale globale Onu.
La votazione all’Onu non è un fulmine a ciel sereno, ma arriva dopo anni di tensioni crescenti sul fronte dell’equità fiscale tra i Paesi poveri e quelli ricchi. A gennaio aveva fatto rumore la lettera inviata all’Ocse da un gruppo di esperti di alto livello delle Nazioni Unite con mandati speciali per indagare sulle violazioni dei diritti umani, che aveva chiesto risposte all’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico sulla sua “incapacità di rispettare gli standard sui diritti umani nella sua leadership della politica fiscale internazionale”. Nella loro comunicazione, gli esperti dell’Onu avvertivano che le controverse riforme fiscali globali “a due pilastri” dell’Ocse sui profitti delle multinazionali, entrate in vigore proprio a inizio anno dopo anni di serrate trattative tra i 38 Stati membri dell’Organizzazione, potrebbero paradossalmente ridurre significativamente l’importo delle tasse che i Paesi del Sud del mondo possono riscuotere dalle multinazionali e “potrebbero avere un impatto discriminatorio sulla base di genere, etnia e razza”. La comunicazione formale chiedeva all’Ocse di dimostrare di aver valutato gli impatti delle sue intese sui diritti umani.
Il fatto è che i Paesi poveri non hanno alcuna fiducia nella declamata volontà di giustizia redistributiva che secondo l’Ocse sarebbe alla base dei suoi accordi fiscali internazionali, tra i quali la tassazione globale al 15% dei profitti delle multinazionali. Come ha affermato Mathu Theda Joyini, rappresentante permanente del Sudafrica all’Onu, “per molti africani, soddisfare gli Obiettivi di sviluppo sostenibile dell’Onu è una questione di vita o di morte. Sfortunatamente la loro capacità di raggiungere questi obiettivi è ostacolata da flussi di capitali illeciti e nascosti che ammontano a miliardi l’anno. È ora che la comunità internazionale affronti questa ingiustizia nei diritti fiscali globali che sta impoverendo milioni di persone, che risale ai tempi della Società delle Nazioni quando la maggior parte degli attuali Stati membri erano colonie e che è stata perpetuata dal monopolio che i ricchi country club hanno detenuto sulle regole fiscali internazionali”.
Un riferimento nemmeno troppo velato all’Ocse, dove siedono paradisi fiscali come Irlanda, Svizzera, Olanda e Regno Unito, nessuno dei quali è incluso nella lista nera dei paradisi fiscali della stessa Ocse. Proprio questi Stati hanno cercato e cercheranno di bloccare la Convenzione fiscale Onu. Per essere approvata, infatti, avrà bisogno di una maggioranza di due terzi nell’Assemblea generale, dopodiché andrà alla firma e alla ratifica, non obbligatoria, degli Stati membri. La strada per una giustizia fiscale mondiale, dunque, è ancora lunga e in salita.

Nessun commento:

Posta un commento