Libera volpe in libero pollaio
DI MICHELE SERRA
La questione della responsabilità delle piattaforme sui contenuti che veicolano è complicata. Si oscilla tra il pericolo di censura politica e il pericolo, opposto, di dare libera circolazione, e una impunità di fatto, a orrori di vario calibro (dalla pedopornografia al complottismo paranoico a quel vero e proprio avvelenamento dei pozzi che sono le fake news).
Colpisce, in questo difficile dibattito, che a prendere la parti del giovane padrone di Telegram, il miliardario russo Durov, sia soprattutto l’estrema destra. Colpisce e in un certo senso aiuta a orientarsi: se Musk, Putin, Trump e l’ossesso Tucker Carlson gridano allo scandalo per l’arresto, in Francia, di Durov, questo significa che il concetto di “libertà”, declinato alla loro maniera, comporta la prevalenza del forte sul debole e dello svelto di mano (e di digitazione) ai danni delle persone pensierose e rispettose. Libera volpe in libero pollaio: l’aforisma è attribuito a Che Guevara, si riferiva all’economia capitalista, è ancora più efficace e preciso se lo applichiamo alla rete. Ai tipi come Durov importa un fico delle conseguenze delle loro azioni, del loro successo e, in ultima analisi, della loro prepotenza. Non è colpa loro — pensano — se gli uomini si fanno gabbare, ingannare, irreggimentare dalle lingue biforcute che hanno trovato nella rete la loro Nuova Frontiera. O forse, più banalmente: le fake news e il complottismo sono la sola vera comunicazione mainstream della nuova destra mondiale. Senza i social, Trump non avrebbe mai vinto le elezioni. Per questo amano Telegram, la più sregolata delle piattaforme, e per questo odiano ogni regola, di qualunque natura. Libera volpe in libero pollaio.
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