sabato 20/04/2019
Si chiama crisi
di Marco Travaglio
Chiamiamo le cose con il loro nome. Nel breve volgere di una settimana, il vicepremier Matteo Salvini ha, nell’ordine: delegittimato il premier Giuseppe Conte, impegnato in una difficilissima mediazione diplomatica sulla guerra in Libia, facendo incontri paralleli con rappresentanti libici e non; impartito direttive sulla panzana dei “porti chiusi” ai vertici militari e costringendo lo Stato Maggiore della Difesa a spiegargli con un’inedita nota scritta la corretta linea gerarchica Quirinale-Palazzo Chigi-Difesa-Esercito, escluso dunque il Viminale; tentato di commissariare i sindaci di tutta Italia con una sgangherata direttiva ai prefetti che ne aumenta i poteri in caso di non meglio precisate “denunce” di “illegalità” (escluse, immaginiamo, quelle dei leghisti); aggredito con assalti quotidiani la sindaca della Capitale, Virginia Raggi, fino alla ridicola richiesta di dimissioni per il ridicolo “caso” montato da ridicoli giornali (tutti) sul bilancio farlocco dell’Ama, bocciato dal collegio sindacale e da tutte le istituzioni preposte a valutarlo, dunque sacrosantamente respinto dal Campidoglio; difeso a spada tratta la permanenza al governo del pluri-impresentabile sottosegretario Armando Siri, che ha patteggiato 1 anno e 8 mesi di carcere per bancarotta fraudolenta e sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte, ed è di nuovo indagato per presunte tangenti da un socio occulto del prestanome di Messina Denaro, in cambio di una norma su misura per una sua società; annunciato il no della Lega a una misura già concordata in Consiglio dei ministri per la fine della gestione commissariale del debito di Roma (13 miliardi di buco accumulati dagli anni 50 al 2008 dalle giunte di pentapartito, di sinistra e di destra, e dirottati in una bad company da B. e Alemanno, cioè da FI, An e Lega), che farà risparmiare ai romani e al resto degl’italiani centinaia di milioni rinegoziando gl’interessi con le banche.
Questa escalation di smargiassate e gaglioffate da guappo di cartone ha un solo nome: crisi di governo. “È fattuale”, come direbbe il Feltri di Crozza. Qui siamo ben oltre le punzecchiature fra alleati, le sparate propagandistiche (come l’irrealizzabile Flat Tax) e le rivendicazioni delle proprie specificità tipiche delle campagne elettorali nei sistemi proporzionali. Quella di Salvini è una lucida e cinica strategia per schiacciare il partito di maggioranza relativa, i 5Stelle, mentre si riprendono anche mediaticamente il ruolo loro affidato dagli elettori il 4 marzo 2018. Il vicepremier sabota sistematicamente il governo. Straccia il contratto di programma.
E distrugge quel poco di buono che potrebbero ancora a fare i giallo-verdi per affermare che l’Italia è cosa sua e mascherare il suo nervosismo. Da un mese l’avanzata della Lega nei sondaggi s’è fermata, anzi molti la danno in discesa. E lo scandalo Siri, che poi è lo scandalo Arata, dimostra plasticamente i virus introiettati da quel vecchissimo partito finto-nuovo che è la Lega imbarcando il peggio dell’Ancien Régime e del Partito degli Affari, dalla Sicilia in su. Arata, sul Carroccio, non l’ha portato la cicogna: l’ha portato Salvini. Gli ha fatto scrivere il programma leghista sull’energia in barba al suo clamoroso conflitto d’interessi; ha tentato di piazzarlo all’Authority per l’Energia; gli ha fatto sistemare da Giorgetti il figlio Federico (amico di Bannon) al Dipartimento programmazione economica, gli ha regalato un potere abnorme che lo autorizzava a sponsorizzare Siri come sottosegretario e poi a commissionargli una norma ad (suam) aziendam. Ora, nel tentativo disperato di dirottare altrove l’attenzione generale, Salvini chiede in combutta col Pd la testa della sindaca eletta dal 67% dei romani, con l’aiuto della stampa amica e di quella finto-nemica. Purtroppo per lorsignori, la Raggi non ruba. E più escono le sue chat e le sue conversazioni, più si scopre che dice in privato ciò che dice in pubblico. Ma ancora una volta viene usata da tutti come arma di distrazione di massa: dalla Lega per nascondere Arata e Siri; dal Pd per far dimenticare Zingaretti indagato per finanziamento illecito, la giunta umbra dei concorsi truccati e tante altre vergogne; da Forza Italia per occultare Forza Italia; e dai giornaloni (anche de sinistra) per fare pari e patta tra il finto scandalo Ama e i veri scandali dei vecchi partiti.
Il 16 maggio 2018, in una leggendaria diretta Facebook, Salvini magnificava “le bellezze di Roma” e aggiungeva entusiasta: “E non ci sono buche, almeno qua dove sono io!”. Una ridicola captatio benevolentiae al futuro alleato di governo, con cui stava trattando per il Contratto: possibile che scopra le buche un anno dopo, quando sono pure diminuite per la partenza di molti cantieri stradali? È chiaro come il sole che Salvini vuole arrivare alle Europee con i 5Stelle sotto le scarpe, pronto a mollarli subito dopo per andare al più presto alle elezioni anticipate. La sua ascesa si sta esaurendo e attendere altri mesi, per un bulimico da social e da sondaggi come lui, sarebbe esiziale. Se non ufficializza ancora la crisi, è solo perché non saprebbe come spiegare agli italiani la caduta di un governo col 60% di consensi che, senza alternative, getterebbe l’Italia nel marasma in un momento tanto delicato. Spetta dunque ai 5Stelle e al premier Conte rompere gli indugi, evitare altri compromessi al ribasso e sfidare Salvini a viso aperto: o libera il governo dalla presenza inquinante di Siri (e la Lega, se può, dei vari Arata), vota la norma taglia-debito di Roma e riprende a collaborare lealmente (sempreché conosca il senso dell’avverbio) con i partner che s’è scelto 10 mesi fa, oppure è lui ad aprire la crisi. E sarà lui a dover spiegare ai fan perché, fra l’Italia e gli Arata, sceglie i secondi.
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