mercoledì 3 luglio 2024

L'Amaca

 

C’è un giudice a Latina
DI MICHELE SERRA
Ogni arresto, ogni carcerazione è un triste evento. Quello del signor Lovato lo è un po’ meno. Il sentimento della giustizia (della disperata necessità che una giustizia esista) è largamente superiore alla pena per questo signore finito nei guai per non avere soccorso un essere umano che aveva la sfortuna di fare il bracciante, in nero, nella sua azienda.
Ci si è chiesti in tanti, nei giorni successivi a quella tragedia primitiva, se e quando gli autori di un così orribile gesto sarebbero stati costretti a rispondere del loro comportamento. Per la serie: ci sarà pure un giudice, a Latina. Il giudice c’è, lo Stato, almeno in una delle sue articolazioni (la magistratura) ha battuto un colpo. No, non è consentito considerare un bracciante un pezzo di ricambio rotto da buttare via. Ora ci si domanda, però, se il signor Lovato debba essere (meritandoselo) il capro espiatorio, il caso limite da additare alla pubblica esecrazione, o se esistano la volontà e la possibilità di rimettere in riga, almeno in parte, quel mondo arcaico: modernizzandolo.
Imponendo regole e diritti dove la sola regola è difendere il proprio gruzzolo, e gli altri si fottano.
“Siamo lavoratori anche noi” sarà l’alibi, scontato, dei Lovato e di chi li difende. Ma guidare un trattore, e sudare nei campi, non solo non è un alibi, è un’aggravante: vuol dire conoscere la fatica, e il suo prezzo, ma non riconoscere quel prezzo a chi suda come te, e più di te. Il lavoro genera solidarietà. Niente come una giornata di lavoro in comune unisce le persone. Se Lovato avesse sentito questo vincolo comune — siamo insieme al lavoro sullo stesso campo — avrebbe soccorso il suo bracciante indiano. Non avendolo condiviso non ha diritto al titolo di lavoratore. Solo a quello di sfruttatore.

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