Come sono cresciuti i ragazzi del garage
DI MICHELE SERRA
Di solito chi nasce riformista muore riformista. Capita invece a parecchi rivoluzionari di morire reazionari: è il caso di Silicon Valley, inteso come luogo-sintesi della parabola produttiva e umana di una generazione di tecnocrati sognatori. Fatte le debite eccezioni, e detto che ogni persona vale per sé e fa storia a sé, capita che molti degli ormai maturi miliardari hi-tec, ex scapigliati che volevano scardinare lostatus quoa colpi di clic, siano finanziatori di Donald Trump e votino repubblicano.
Il sogno originario era una democrazia diffusa e post-gerarchica, nella quale ognuno avesse accesso a tutti i dati e la struttura verticale della società analogica si sciogliesse felicemente nella immensa orizzontalità della società digitale: una navigazione illimitata, iper democratica e soprattutto gratuita. Come questa presunta gratuità abbia generato una montagna di miliardi, e la più grande concentrazione di ricchezza mai vista al mondo, è cosa che andrà spiegata dagli storici dell’economia (forse solo gli oligarchi russi, quanto a velocità e entità dell’accumulazione, hanno potuto competere).
Fatto sta che da quella magica avventura, che all’origine ebbe una forte componente libertaria e pure lisergica (la storia è raccontata molto bene inThe Game di Baricco) si è poi generata una formidabile lobby tecnocratica e finanziaria che alla politica chiede — come tutti i ricconi — soprattutto di non interferire con le proprie faccende. Di non rompere le scatole, di non tassare che in minima parte i profitti, di non disturbare il solo vero manovratore, che è il capitale. Il mondo visto da un garage e da una tastiera rudimentale non è per niente uguale al mondo visto dall’orbita di una ricchezza irresistibile. Che, come sempre è accaduto, può comperare tutto e cambiare tutto.
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