Un Grillo al bivio
di Marco Travaglio
C’è ben poco di politico nella polemica epistolare fra Grillo e Conte. La lettera del garante, come tutto in lui, è un fatto caratteriale, psicologico, umorale. Chi lo conosce sapeva benissimo che, in vista degli Stati generali per il rilancio del M5S, avrebbe battuto un colpo. Non perché voglia o tema qualcosa di diverso da Conte, dagli eletti e dagli elettori. Ma per dire che c’è sempre, anche se, da buon ciclotimico, alterna da una vita le discese ardite e le risalite. Sa benissimo che la democrazia diretta non esiste, ma l’alternativa non sono i caminetti fra “gruppi ristretti”, ed è paradossale che debba ricordarglielo Conte, grillino dell’ultima ora. L’alternativa è la democrazia partecipativa: il leader (Grillo e Casaleggio agli inizi, il direttorio a cinque, Di Maio e ora Conte) consulta la base, ne riceve gli input, poi dice la sua e la mette ai voti. Ma anche nel ruolo di garante (a vita: clausola che, escluse le monarchie, esiste solo alla Corte Suprema Usa), la sua parola non vale uno: pesa molto più di quella altrui. E influirà eccome agli Stati generali del 4 ottobre, nel 15° compleanno del M5S. Il bivio di Grillo è tra l’accompagnare quel passaggio decisivo fra il rilancio e l’estinzione con la magnanimità e la generosità del padre nobile, o l’insistere con la postura malmostosa. Quella di chi snobba i suoi ex “ragazzi meravigliosi”; sottovaluta gli sforzi titanici che han fatto e i prezzi altissimi che han pagato per piantare quasi tutte le bandiere del M5S nei 31 mesi dei governi Conte-1 e Conte-2, vilipesi e combattuti dai poteri marci; preferisce loro i presunti “grillini” Draghi e Cingolani; li liquida col gretto totem dei due mandati; e ora tratta Conte da mezzo usurpatore. Come se non l’avesse chiamato lui a lavorare gratis un anno e mezzo per resuscitare i 5S che lui aveva suicidato conficcandoli nel governo Draghi e costringendoli a ingoiarne tutti i rospi.
Nell’ultimo spettacolo, Grillo pareva pacificato, autoironico, autocritico: raccontava che Draghi l’aveva subornato con furbe blandizie e false promesse, e la sua disarmante sincerità portava il pubblico a perdonargli di esserci cascato. Ora sembra tornato alla fase dei malumori, senza neppure un progetto alternativo. Lo sa pure lui che, senza Conte, il M5S sparirebbe. Però va rifondato, tantopiù ora che i suoi cavalli di battaglia tornano di moda e la ruota della storia, nel falso bipolarismo delle lobby finanziarie e belliciste, riprende a girare verso quella voglia di cambiamento che il M5S è il più attrezzato a soddisfare. Sta a lui decidere se guadagnarsi i 300 mila euro l’anno di “consulenza per la comunicazione” partecipando col suo talento, o rintanarsi in casa a distillare letterine, battutine, regolette e rancorucci. Per fare il salto, basta un pizzico di generosità.
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