L’etica e l’estetica poliglotta del fu Renzi alla tivù inglese
DI DANIELA RANIERI
L’altro giorno era a Londra ospite di Bloomberg Tv, chissà se gratis (resta un mistero metafisico e astruso, tipo la consustanziazione, come possa esistere gente disposta a pagare per sentirlo parlare, quando il 98% degli italiani pagherebbe per farlo stare zitto), dove ha sciorinato il suo sapere in 13 minuti di faccette, catastrofi alveolo-palatali, inciampi occlusivi, disastri labiali. La prima notizia è che nell’inglese parlato Renzi è migliorato: se fino a pochi mesi fa era a livello di uno studente di seconda media, adesso supera largamente un ginnasiale con la media del 6. La pronuncia è sempre perforante della barriera ematoencefalica (“evritink” per everything, “uidauz” per without), il because è ancora causa di carpiati, il “th” è la sua bestia nera (“I fink” per I think), ma in grammatica l’uomo da 3 milioni di euro dichiarati ha fatto passi da gigante (deve imparare che in inglese i verbi all’infinito vogliono il “to” davanti, ma ha solo 49 anni). I diciamo contenuti sono sempre gli stessi: io sono all’opposizione di Giorgia Meloni (infatti ne vota tutti gli obbrobri, dalla riforma della Giustizia all’abolizione del Rdc e del reato di abuso d’ufficio), il centrismo è la chiave per vincere le elezioni (lui ne è la prova vivente), Macron ha vinto la sua scommessa (infatti ha perso 86 seggi, Mélenchon e Le Pen ne hanno guadagnati rispettivamente 49 e 53), Starmer ha vinto le elezioni nel Regno Unito (il conduttore lo riprende: “Ma quasi il 70% dei voti è andato altrove”; lui cincischia, cambia discorso). Irresistibile quando dice “credo che Tony Blair sia stato uno dei più grandi leader in termini di risultati” (hai voglia, tra i quali la balla sulle armi di distruzione di massa di Saddam Hussein con concomitante occultamento di documenti, stando al suo ex ministro della Difesa) e naturalmente non influisce sulla valutazione il fatto di essere appena diventato un collaboratore, si presume prezzolato, del Tony Blair Global Institute.
Naturalmente il conferenziere-consulente-senatore Renzi appartiene a quella parte di umanità che vuole sempre più crescita (in termini di Pil e di sviluppo, mica di progresso): intelligenza artificiale, la Sanità come business che va implementato, i diritti come cosa obsoleta che manco conta nominare; il modello è l’Arabia Saudita, terra dei nuovi Michelangelo (che però verrebbero arrestati in quanto gay) di cui lui è testimonial a suon di petrodollari e che detiene un primato mondiale: condanne capitali, processi sommari, discriminazione contro le donne, torture, sfruttamento del lavoro, abusi sui migranti, sgomberi di massa di residenti le cui case sono state demolite per far posto alle costruzioni faraoniche del principe Mohammed bin Salman, che la Cia e l’Onu ritengono un segatore di giornalisti e che Renzi chiama “Vostra Altezza” e “amico mio”. Comunque, al di là dell’etica (ah: del suo governo si ricorda l’esportazione di un’imponente commessa di bombe verso il regno saudita, che le usa per bombardare i bambini yemeniti), colpisce l’estetica: la cosa più esilarante è l’affettazione che ostenta, imitando quelli che l’inglese lo masticano talmente bene da potersi permettere di calcare vocali, mangiarsi consonanti, aspirare la “h” fino all’iperventilazione (quando dice health care gli si chiudono gli occhi per lo sforzo, si teme l’embolo). Poi siccome è notorio che una volta è stato a cena da Obama, discetta di elezioni americane: “Io ho una grande amicizia per Joe Biden” (che però non ha idea di chi diavolo sia Renzi), e pone il suo diktat: “Not Kamala”, inteso come la Harris, che lui chiama col nome di battesimo perché così usa tra cosmopolitipoliglotti.
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