Non aprite quelle porte
di Marco Travaglio
Mentre la libera stampa insegue l’ultima minchiata del penultimo ministro e del generale Catenacci o come diavolo si chiama, un trust di 26 cervelli messo insieme da Nordio a sua immagine e somiglianza partorisce la bozza di decreto attuativo della legge delega sull’ordinamento giudiziario escogitata da quell’altro genio della Cartabia. Con due ideone. La prima – nata dalla fertile mente dell’ex forzista e ora calendiano Costa – è una nuova voce nel “fascicolo per la valutazione del magistrato”: quella sul “complesso dell’attività svolta, compresa quella di natura cautelare”, la “tempestività nell’adozione dei provvedimenti” e le “gravi anomalie in relazione all’esito degli atti e dei provvedimenti nelle fasi o nei gradi successivi”. Il Csm dovrà tenerne conto per valutare promozioni, sanzioni e radiazioni (automatiche con due bocciature consecutive). La seconda genialata è quella che gli italiani hanno bocciato appena un anno fa bocciando i referendum contro la giustizia: far giudicare i magistrati nei Consigli giudiziari (le sezioni locali del Csm) anche dagli avvocati. A Palermo, per dire, il legale di Messina Denaro potrebbe dire la sua sul pm e il gip che hanno scovato e arrestato il suo cliente.
Il combinato disposto delle due ideone sarà una magistratura ancor più intimorita, pavida, conformista e riverente al potere di quanto già non sia dopo le cure da cavallo degli ultimi 25 anni. Se la carriera dei magistrati dipende dal giudizio degli avvocati e ancor di più dalle conferme dei loro provvedimenti nei successivi gradi di giudizio, le conseguenze possono essere solo due, entrambe nefaste. Molti giudici saranno portati a confermare le decisioni dei colleghi sottostanti, anche se non le condividono, per salvare loro la carriera (l’“appiattimento” sempre deplorato dai “garantisti”). E molti pm, gip e gup saranno indotti a chiudere gli occhi sui delitti dei potenti e ad archiviare i processi più complessi (quelli indiziari, senza pistole fumanti o confessioni), nel timore o nella certezza che i colleghi di tribunale, appello e Cassazione vedano il bicchiere mezzo vuoto o cerchino il pelo nell’uovo per allontanare l’amaro calice. Quando Falcone e Borsellino istruirono il maxiprocesso a Cosa Nostra, Corrado Carnevale divenne presidente della I sezione della Cassazione, monopolista dei processi di mafia. E iniziò a cassare condanne e arresti di mafiosi (500 in tutto) guadagnandosi la fama di “ammazzasentenze”. Ma Falcone e Borsellino continuarono ad arrestare e a processare mafiosi fino all’estremo sacrificio, perché nessuno poteva cacciarli per gli annullamenti dei loro provvedimenti. Con i “riformatori” di oggi, Cosa Nostra avrebbe risparmiato un bel po’ di guai. E di tritolo.
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