martedì 9 maggio 2023

Scanzi e il Cotta

 

Cottarelli è l’amuleto in odor di santità per salotti bene e tivù
di Andrea Scanzi
La storia della politica politicante italiana è piena di personaggi oltremodo pompati, e dunque sopravvalutati, da giornali e tivù. Di solito questi presunti fenomeni appartengono alla sinistra finto-radicale ma in realtà iper-borghese, tipo Pisapia, e più spesso sono persone palesemente di centro che però (quando fa loro comodo) giocano a essere un po’ di sinistra: Renzi, Calenda e perfino Moratti. Rientra in questa nutrita categoria Carlo Cottarelli. Quando lo si nomina, bisognerebbe scattare sull’attenti e pronunciare le sue generalità con quel misto di reverenza e devozione che si concede soltanto ai Prescelti. Da decenni Cottarelli è trattato dai media italici come se fosse il Neo di Matrix: una sorta di demiurgo e semi-dio che, in mezzo alla mestizia avvilente del mondo cinico e baro, svetta a prescindere e tutto può. Prim’ancora che uomo, Cottarelli è per i salotti-bene un paradigma esistenziale e un amuleto in odor di santità. Da una parte c’è il Male, dall’altra Cottarelli. Ovvero la Luce. Ogni volta che appare a Che tempo che fa, ogni cosa si fa illuminata. Cottarelli è il Burioni degli economisti e l’upgrade azzimato di Tito Boeri. Una sorta di Chuck Norris ipotetico, con un seguito normale nel mondo reale (i suoi libri vendono né tanto né poco, alle ultime elezioni fu spazzato via dalla Santanchè e passò grazie al proporzionale) ma con un appoggio mediatico sproporzionato, neanche fosse il Churchill di Cremona. 69 anni ben portati, Cottarelli non cambia mai espressioni e ha meno mimica facciale di Domenico Bini.
Parla senza mai alzare i toni e ha il dono – utilissimo per svernare in tivù – di distillare ovvietà travestendole da saggezza tibetana.
Se lo incontri ti guarda immancabilmente dall’alto verso il basso, ma lo fa con charme: è un Marchese del Grillo, sì, però attento alla forma. Uomo intelligente e dalla penna né bella né brutta, scrive editoriali equilibristi su Repubblica e La Stampa. Laurea in Scienze economiche e bancarie a Siena, Master in Economia presso la London School of Economics. Dal 1988 lavora per il Fondo Monetario Internazionale (FMI). Nel novembre 2013 viene nominato dal governo Letta commissario straordinario per la revisione della spesa pubblica, ma invano: il sistema politico – dice Lui – è impermeabile a qualsivoglia cambiamento. Nel 2018, non senza situazionismo, riceve l’incarico di presidente del Consiglio dopo il “caso Savona”. Chiaramente non se ne fa nulla, come è sempre avvenuto ogni volta che il teoricamente politico Cottarelli ha cercato di passare dal virtuale al reale. Tra fine 2019 e marzo 2021 oscilla tra Mara Carfagna (ancora in Forza Italia) e “Programma per l’Italia”, comitato scientifico con dentro Azione!, +Europa, Partito Repubblicano Italiano e Alleanza Liberaldemocratica per l’Italia. È lì che batte il suo cuore: in quel microcosmo liberal-riformista-calendo-renziano caro ai giornaloni e a quella bolla morta chiamata Twitter (dove ovviamente Cottarelli spopola). Mai sazio di harakiri, Letta pensa bene a settembre di candidarlo nel Pd. Mossa sublime, tenendo conto che poche settimane prima Cottarelli aveva scritto il programma a Calenda. Due giorni fa, Re Carlo si è dimesso da senatore perché non condivide la linea di Elly Schlein, che continua peraltro a perdere pezzi calendo-renziani senza fare nulla di realmente innovativo. La stampa ha plaudito una volta di più Cottarelli per il “bel gesto”, dimenticandosi stranamente di ricordare che forse avevano ragione quelli che han sempre scritto che Cottarelli, con la sinistra, non c’è mai entrato una mazza. Che meraviglia continua!

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