mercoledì 24 maggio 2023

Robecchi

 

Grandi lagne di governo. Comandare fingendo di essere dissidenti oppressi
di Alessandro Robecchi
Ora che Tg1, Tg2, Tg3, Rete4, Tg5, Studio Aperto, Tg7 e Tg-Sky24 ci hanno mostrato Giorgia Meloni “lontano da microfoni e telecamere”, possiamo dormire tranquilli.
Ma intanto si registra un persistente mal di testa dato dall’inseguire voci e propagande della destra di governo, che lotta come un leone, come in un fortino assediato da comunisti e invece (ho controllato) è proprio al governo del Paese. Lo dico subito: Meloni che fa (pardon, non fa) passerella tra gli alluvionati è giusto e doveroso, cioè quello che uno si aspetta da un capo del governo. Un po’ meno edificante è la narrazione messa in piedi: lei che lascia il G7 in gramaglie, e poi la favola del “non è una passerella” con tono pre-offeso (traduzione: lo dico prima, non vi azzardate a dire che è una passerella). Insomma, è incredibile che anche in una normalissima e doverosa azione di capo del governo non si riesca a rinunciare a un ingrediente culturalmente centrale della destra italiana: il vittimismo.
In generale, spulciando qui e là tra esternazioni e commenti di questi giorni frenetici si direbbe che c’è gran confusione, è molto difficile codificare una strategia mediatica. La palma d’oro va, come spesso accade, al ministro cognato Lollobrigida, un campione. Mattarella, attraverso le celebrazioni del Manzoni, gli ha fatto pelo e contropelo con una lezioncina da maestro di sostegno su razza, etnia e Costituzione. E lui se n’è uscito con uno strepitoso: “Non credo che ce l’avesse con me”, per poi pubblicare odi ad Alessandro Manzoni. Riassumo: abbiamo un ministro dell’Agricoltura che diventa raffinato esegeta manzoniano pur di fingere che gli schiaffoni non li ha presi lui (cfr, “Io mica so’ Pasquale” di Totò).
Spicca nel quadro Marcello Veneziani, da alcuni decenni candidato a tutto quello che c’è di destra, dal convegnetto di nostalgici alla spedizione spaziale. Ha esternato sulle contestazioni alla ministra Roccella accusando il direttore del Salone del Libro, Nicola Lagioia, intervenuto per mediare, di “violenza di origine anarco-comunista”. Qui siamo alla meraviglia, al vittimismo onirico, come se contestare un ministro, pratica democratica quant’altre mai, fosse la Comune di Parigi (nota mia: magari!).
Ma in generale il ricorso allo spettro del comunismo è frequente e generalizzato e fa parte del gioco fascio-vittimista: governare il Paese ma fingere di essere dissidenti braccati in Corea del Nord. Comandare su tutto, ma dare la sensazione di essere minoranza oppressa (dai “comunisti”, poi, creature ormai mitologiche).
E poi, c’è lei, Augusta Montaruli, che allo stesso Lagioia, al Salone, urlava “Vergogna, vergogna” e “Con tutti i soldi che prendi!”. Ora, sommessamente, un consiglio spassionato agli anarco-casinisti della destra: se hai tra le tue file una condannata in via definitiva per peculato, è meglio impedirle di andare in giro a parlare dei soldi degli altri, è una questione di decenza, una cosa che somiglia molto all’autogol da metà campo.
In questi giorni abbiamo dunque visto in tutta la sua sgangherata potenza una certa esuberanza mediatica. E mentre ci balocchiamo con questi proclami un po’ improvvisati, tra il patriota Manzoni e i moti insurrezionali contro la ministra Roccella (che due ore dopo la terribile censura in stile Pol Pot era in televisione a dire la sua), registriamo la pressante richiesta – degli stessi – di costruire finalmente un’egemonia culturale di destra. Oh! Basta con Bertolt Brecht e Rosa Luxemburg, su, fate spazio, arriva Veneziani con la Montaruli!

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