mercoledì 2 novembre 2022

Bergonzoni

 

Con buona pace di chi non si arrende neanche all’evidenza
DI ALESSANDRO BERGONZONI
Finito il tempo contorto della ragione e del torto, cominci quello del ragionamento. È di una semplicità disarmante? Allora disarmiamo! Con buona Pace di chi crede che questa guerra sia solo questa e non ovunque. Con buona Pace di chi non si vuole giustamente arrendere, ma purtroppo neanche all’evidenza: la guerra moderna è sempre persa, anche se capi di stato la ritrovano sotto montagne (di cadaveri), in fondo all’oceano (di sangue), sempresul piede di guerra schiacciando gli indici di povertà dei privi anche della povertàstessa. Con buona Pace di quanti ricordano, giustamente, chi colpevole inizia le guerre, ma scordando chi le potrebbe smettere, come un vestito (perfetto per chi con le armi e la guerra mangia, lavora e sguazza, strettissimo per chi non vivrà, lavorerà, mangerà, gioirà più). Una bella differenza: chi coglie la beltà si faccia vivo, non faccia morti. L’idea sarebbe una vera cannonata anche se potrebbe essere l’ultima (come questa guerra, non perché non ne rifaremo, ma perché noi saremo volatilizzati). Con buona Pace di chi in piazza non scende perché scinde, non marcia ma ci marcia: divide per forza l’inscindibile cioè la pace in buoni e cattivi (senza il dubbio che esistano buoni intrattabili e cattivi fino alla morte con cui si deve comunque parlare, perché non tentare nuoce anzi polverizza per primi i buoni), armi giuste da armi sbagliate, tattiche, da difesa o deterrenza. Il 5 novembre saremo a Roma con chi vuole una pace “manifesta” e congenita e sa che l’estinzione vicinissima invoca, non di vendersi al nemico, ma un sacro compromesso, intelligenza non Intelligence, per e con amore: lo dice un Papa, bene, ma deve avere lo stesso senso e valore anche detto dall’uomo della strada (per la pace), tutti sempre criticati da chi vede solo con le lenti della politica mondiale (che gioca a tiro alla fine) e da certe testate giornalistico-televisive che chiacchierano di testate nucleari come calcio, per sfoggio mediatico, da chi teme il cessate il fuoco, ma quello dei nostri fornelli, non quello che brucia cose e persone: quello và bene perché così potremo continuare ad armare ed armarci, guadagnarci e poi scaldarci.
L’uomo è in pericolo? No, è il pericolo! E si deve difendere da se, da se stesso, il vero nemico; dovremo perdere tutti qualcosa, anzi rinunciare, parola più etica, rivoluzionaria e misteriosa, cambiando grammatica e analisi illogica del discorso sull’eterna supremazia della specie dei più forti più giusti.
Il pianeta in ginocchio ci prega di sacrificare non altri esseri, ma certe mentalità o “ideali”, prima che l’onda d’urto di qualsiasi bomba (an)atomica e le sue mutazioni chimico-genetiche, sciolgano le carni. Nessun conduttore di talk col suo schermo televisivo può schermarci: passa ogni radiazione. Difficilmente invece passa la visione di altra verità sul pacificare assoluto, senza remore, senza paura d’esser utoposti, vili, anti e filo qualcosa. Io mi sento, come tantissimi, “filo”: sì, filo che può ricucire strappi creati dalla malata visione della supremazia, certamente le ferit e delle vittime, ma pure quelle cerebrali di chi si diverte con la Play Escalation, filo per sanare ben altro debito, quello con la terra e i suoi ennesimi sepolti (anche i degluttiti dal mare, già digeriti da chi fa accordi con gli stati torturatori).
Capisco, tutto è molto più complesso di così, ma se non partiamo da qui la Storia si ripeterà. Non vogliamo esser più ripetenti, studiamo come pacificare e basta. Della guerra siam già schiavi, anche se per molti è schiavitù inconsapevole, assuefatta, beata, beota. Non vogliamo andare all’altro mondo ma vogliamo un altro mondo adesso e se dobbiamo passare a miglior vita lo vogliamo fare in questa, cambiandola. Finché altri corpi e anime, con grazia e pietà che non abbiamo più, non ci illumineranno. Per un soffio. Quello del primo o dell’ultimo respiro.

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