mercoledì 23 novembre 2022

Scanzi intervista il mitico Maestrone!

 

“I duelli poetici con Benigni, il gioco del treno con Gaber e le piume di struzzo nel c…”

FIRMA LE “CANZONI DA INTORTO” - “Ma non riascolto mai i miei dischi. Sono insicuro”. “Ho votato Pd, mi piace Elly Schlein, ma il mio preferito resta Bersani”


DI ANDREA SCANZI

“La voce è come le gambe per un atleta: se smetti di allenarla, poi devi ricominciare tutto da capo”. Francesco Guccini parla circondato dai gatti e da un paese intatto. Canzoni da intorto (Bmg) è uscito a dieci anni di distanza dal precedente. “Un disco di cover. Dentro ci ho messo i brani che cantavo da ragazzo”. Un gran bel disco, che suona come un regalo inatteso e riuscito.

Hai scelto anche Sei minuti all’alba, capolavoro del primo Jannacci.

Enzo era bravo, ma quando mi telefonava era un incubo: bofonchiava e non capivo nulla. Gli ripetevo “Cosa hai detto, Enzo?”, ma lui andava avanti e io a quel punto facevo finta di capire: “Va bene, Enzo”, “Certo, Enzo”.

De André, Gaber e Guccini, ovvero i più grandi cantautori italiani.

Credo di sì, anche se ci aggiungerei Claudio Lolli. Aveva una capacità di scrittura straordinaria.

È giusto che qualche tua canzone venga studiata nelle scuole?

Qualcuna sì. Mi fa piacere, ma la cosa di cui vado più orgoglioso è far parte di un’antologia dei Meridiani Mondadori dedicata ai più grandi scrittori italiani di racconti del Novecento. Essendo un fighetto snob, ha dato più gioia al mio ego questo riconoscimento di qualsiasi canzone.

Sei consapevole del tuo talento?

Per niente. Non riascolto mai i miei dischi e i miei genitori mi hanno cresciuto “masato”. Basso profilo e zero complimenti. Ciò mi ha reso insicuro e molto timido. Non ho assolutamente autostima. Anche durante i concerti ero terrorizzato, come quando davo gli esami all’università.

Il fiasco di vino sul palco aiutava?

Non era un fiasco, ma una semplice bottiglia. Bevevo rosé, e pure poco, perché sul palco devi essere lucido. Uno o due bicchieri di rosé. E a tavola quasi sempre Traminer.

Anche De André aveva paura del pubblico.

Lui beveva whisky, e all’inizio neanche poco. Prima dei concerti mangiava solo due “uova all’ostrica”: buttava giù il tuorlo con un po’ di limone e via. Io no. Avevo un genovese sciagurato che mi seguiva per il catering. Libagioni infinite di cibo e vino nei camerini. Mangiavamo tantissimo sia prima che dopo i concerti.

Con Fabrizio avevi un buon rapporto?

Tutto sommato sì, anche se non ho mai frequentato per amicizia i colleghi. A fine anni Settanta, dopo il tour con la Pfm, pensammo di fare una tournée insieme. Eravamo convinti, ma i nostri manager non vollero. Fabrizio era molto diverso da me, anche come origini: lui veniva da una famiglia aristocratica, io proletaria.

E Gaber?

Lo andavo a vedere a teatro quando veniva a Bologna, e poi facevamo tardi alla Trattoria Da Vito. Facevamo un gioco un po’ scemo che avevo imparato a Milano. Ognuno aveva il nome della stazione di una città. Uno di noi batteva gambe e mani e diceva: “Parte il treno per Milano!”. E chi era “Milano” doveva scattare in piedi e gridare subito un’altra città: “Parte il treno per Bologna!”. Così per ore. Un gioco idiota, ma se lo facevi alle tre di notte pieno di vino ti divertivi.

Gaber però era quasi astemio.

Vero, ma da Vito andava di moda la vodka, e una volta Giorgio fece fuori da solo mezza bottiglia. Quando voleva, anche lui ci dava dentro.

Qual è la canzone di cui vai più fiero?

Quelle che il pubblico non direbbe. Una volta Vasco è venuto in trattoria e mi ha detto che, secondo lui, L’avvelenata è straordinaria. Okay, fa piacere, ma secondo me L’avvelenata è sopravvalutata. Ne ho scritte a decine di superiori. A me piacciono molto di più brani meno fortunati come Amerigo e Odysseus. Evidentemente non ho gli stessi gusti del pubblico.

È vero che negli anni Settanta sfidavi Benigni?

Erano duelli di poesia improvvisata. Gli lasciavo rime impossibili: “taxi/Craxi”, “mirra/birra”. Lui mi mandava affanculo, poi però se ne usciva con trovate geniali: “La moglie di Pirro doveva chiamarsi Pirraaaa”. Bravissimo. Altri due dotati erano Carlo Monni e David Riondino. Anche Umberto Eco faceva parte di quelle sfide, ma non era un granché.

Benigni lo senti ancora?

No. Eravamo molto amici all’inizio della sua carriera. Adoravo il suo primo monologo, Cioni Mario di Gaspare fu Giulia. A fine anni Settanta andammo a trovarlo a Vergaio (Prato, ndr) con gli amici del Premio Tenco e ce lo rifece di getto: non sbagliò una virgola. Spesso c’era anche Paolo Conte. Poi li ho persi di vista. Uno che sento regolarmente è Ligabue. Ci vogliamo bene.

Anche Zucchero ti adora.

(Sorride) E io adoro lui, solo che a volte esagera. L’altro giorno è passato e, abbracciandomi, mi ha stretto così tanto che mi ha fatto venire i lividi. Zucchero è fumantino e, come tutti quelli che hanno venduto un milione di copie a botta, ha il terrore di perdere il successo. Io, che mi sono fermato a 300 mila copie, mi sono salvato. Però una cosa ce l’abbiamo in comune.

Quale?

Il fastidio per chi, come dice Zucchero, “lecca la tazza del cesso per avere successo”. Io, forse con più stile, preferisco dire: “Non mi sono mai infilato una piuma di struzzo nel culo per cantare”. Questi artisti finti, questi trapper, gente che si fa chiamare Ernia… ma che roba è?

Diranno che sei anacronistico.

Me lo dicono da sempre, e menomale. Non vado quasi mai in tivù, non so guidare, non ho la patente e non ho neanche il telefonino. Quando in conferenza stampa mi hanno fatto notare che il nuovo disco non era disponibile in streaming, ho risposto che neanche so cosa sia lo streaming.

Volevi fare il giornalista, e nel 1960 intervistasti Modugno.

(Abbassa lo sguardo) Me ne vergogno. Fui molto snob e saccente, volli fare il fenomeno. Avevo 20 anni ed ero stupido come sanno essere i ventenni. Modugno si incazzò moltissimo. Un’altra volta feci un’inchiesta sull’aumento di malattie veneree dopo la chiusura delle case di tolleranza e “rubai” i dati a un direttore di ospedale. Successe il finimondo e mi cacciarono. Presi le mie cose, mi avvicinai alla porta e il direttore si arrabbiò di nuovo: “Ma dove vai Guccini, torna qui!”. Praticamente mi licenziarono per cinque minuti.

Hai anche scritto i testi per le pubblicità dei Carosello.

Una volta scrissi uno spot per Ciccio Ingrassia e Franco Franchi. Tra loro si odiavano, letteralmente. Giocavano a carte, ognuno in coppia con un suo dipendente, e quando perdevano davano la colpa al “sottoposto”. Una dinamica brutale da padrone e schiavo.

Per te le carte sono sacre.

Sono un ottimo giocatore di scopa, briscola, tressette e scopone scientifico. Anche con De André ci sfidammo a Bologna, dopo un suo concerto con la Pfm. Quello che perdeva doveva dare mille lire all’altro. Finì uno a uno. Da qualche parte devo ancora avere le mille lire firmate da Fabrizio. Giocherei anche a Pavana, ma non arriviamo mai a quattro: i miei amici sono quasi tutti morti, e poi Pavana è diventata borghese. Prima si lanciavano delle Madonne incredibili durante le partite, ora son tutti casti. Prima si giocava per un fiasco di vino, adesso per un caffè o le caramelle. Roba da matti.

Anche Dalla giocava a carte?

No. Anche Lucio frequentava la Trattoria da Vito, ma lui di solito arrivava solo per accertarsi che il suo manager Renzo Cremonini, che noi chiamavamo “Jabba” per la somiglianza con Jabba The Hutt, non mangiasse di nascosto. L’apice di Lucio resta Com’è profondo il mare. Con lui ho anche scritto Emilia, ma c’erano alcuni aspetti di Lucio che non riuscivo a comprendere fino in fondo.

Chi hai votato alle ultime elezioni?

(Allarga le braccia) Io voto Pd.

Non dirlo così, non è poi così grave.

(Ride) Oggi il Pd è un po’ il cane che prendono tutti a calci. Anche 5 Stelle e Calenda sembrano colpire più lui che la Meloni. Di sicuro il Pd, da solo, non va da nessuna parte. Guardo più ai 5 Stelle che a Calenda, ma penso alla base e agli elettori dei 5 Stelle, che ritengo perlopiù di sinistra. I vertici mi convincono di meno.

Che segretario vorresti?

(Pausa) È difficile. Mi piace Elly Schlein, la sento più vicina ed è brava, ma per certi aspetti è troppo dura. Il mio preferito è Bersani: non l’ho mai visto dal vivo, ma ci ho parlato al telefono. Brava persona. E le sue metafore sono fantastiche.

La Meloni ti fa paura?

Paura no, ma tira un’aria molto reazionaria. Non c’è niente da fare: gli italiani sono conservatori. Mi inquieta quella fiamma nel simbolo di Fratelli d’Italia: è la fiamma del Msi e quindi la fiamma di Giorgio Almirante, ovvero il redattore de La difesa della razza. Ci rendiamo conto della stortura totale dell’abbraccio di Ignazio La Russa a Liliana Segre?

Peggio Berlusconi o Meloni?

(Sospiro) Alla fine è “meglio” la Meloni. Se non altro, non ha quei quintali di conflitti di interessi che ha Berlusconi. Ho temuto che lo facessero capo dello Stato: questo Paese è capace di tutto.

Passi per anarchico e comunista, ma Berselli diceva che sei un socialdemocratico.

Definirsi oggi anarchici non ha senso, è cambiato tutto e anche una canzone come Contessa era già antistorica negli anni Sessanta. Io sono “Giustizia e Libertà”, sono dalla parte dei fratelli Rosselli. Mai stato comunista e mai votato comunista.

Neanche con Berlinguer?

Neanche. Lo stimavo molto, ma negli anni Ottanta ho votato il Psi. Attenzione: non il Psi di Craxi, ma di Pertini. Un personaggio meraviglioso, che aveva solo un grande difetto: era un pessimo giocatore a carte. La famosa sfida sull’aereo della Nazionale ’82 la perse lui, con un erroraccio che Zoff, Causio e Bearzot non ebbero il coraggio di fargli notare. Me lo ha confermato sorridendo Zoff, che conosco e ama le mie canzoni.

Perché Pavana è così importante?

Perché ci sono cresciuto. Ricordo ogni cosa. Ricordo mio padre, che era perito elettro-meccanico ma che amava Einaudi, Montanelli e studiava la storia leggendo Van Loon. Ricordo l’arrivo degli americani. Ricordo ogni amico e parente. E ricordo quando i nazisti fecero saltare la centrale elettrica nel 1944. Le lastre del tetto erano di Eternit e finirono sul fiume. Noi, bambini, scoprimmo che se lo mettevi nel fuoco, l’Eternit si gonfiava e saltava per aria. E noi giù a dargli fuoco! Eravamo inconsapevolmente pazzi. Qui ho le mie radici. Ricordo proprio tutto.

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