L’ex senatore Pillon ha trovato un lavoro: ora fabbrica querele
di Peter Gomez
Essere eletti è un investimento. Numerose ricerche testimoniano come molti ex parlamentari, una volta perso lo scranno, ritornino alla vita civile con un reddito maggiorato rispetto a quello che percepivano prima dell’elezione. I liberi professionisti hanno in genere un incremento del loro giro di affari, mentre i dipendenti vengono di solito trattati meglio dai loro datori di lavoro. Da oggi, però, per gli ex deputati e senatori esiste un sistema in più per guadagnare: la minaccia di querela rivolta contro chi li ha insultati o criticati sui social. A inaugurare il nuovo filone è stato Simone Pillon, il celebre alfiere della famiglia tradizionale, fiero avversario del disegno di legge Zan contro l’omotransfobia. Restato fuori dal palazzo, Pillon ha pensato bene di tramutare la sua scarsa popolarità presso molti elettori in una fonte di reddito. Ha incaricato un pool di avvocati di inviare raccomandate in fotocopia a chiunque lo avesse insultato o dileggiato sui social. Centinaia e centinaia di lettere in cui si chiedono risarcimenti anche da 20 mila euro che però scendono a 6.000 se il pagamento “viene effettuato entro 8 giorni”. Stessa decisione è stata presa pure da due altri ex parlamentari della Lega, Stefano Lucidi e Guglielmo Golinelli, che come Pillon si sono messi a setacciare i commenti sotto i loro vecchi post alla caccia di possibili fonti finanziarie. A occuparsi del tutto è uno studio legale di Modena che in questi giorni si sta trasformando in una sorta di “fabbrica delle querele”. Un’industria della paura che permette lauti ricavi in base a regole sostanzialmente statistiche: su centinaia di lettere inviate, c’è sempre chi preferisce pagare subito piuttosto che attendere la denuncia per poi eventualmente difendersi davanti a un giudice.
Le richieste appaiono, però, spesso infondate o esorbitanti. Può davvero valere molte migliaia di euro un “sei marcio dentro” scritto da una ragazza sotto il post sull’affossamento del ddl Zan? Oppure, come sembra più logico, la frase per quanto pesante rientra in un democratico diritto di critica? In attesa di capire cosa ne pensi la magistratura di questa sorta di class action al contrario sollevata dai tre leghisti trombati (secondo altri legali, che si apprestano a presentare una denuncia, questa pesca a strascico giudiziaria sarebbe a sua volta un reato), noi qui ci limitiamo a ricordare che la libertà di parola nasce nel 700 con la Rivoluzione francese per poter parlare male di coloro i quali erano al potere. Per per parlarne bene, infatti, c’erano già i cortigiani. E oggi è davvero difficile parlar bene di questi nostri tre ex rappresentanti. Leggere, come scrive Thomas Mackinson, la storia di un pensionato che si vede richiedere 8.000 euro per aver violentemente preso di mira Lucidi sui social quando questi, in barba alle promesse agli elettori, aveva cambiato casacca passando dal M5S alla Lega, fa davvero cascare le braccia. Anche perché a dimostrare quanto valga davvero Lucidi c’è la trattativa post raccomandata. Il pensionato chiama lo studio legale facendo presente di non avere il denaro. Così gli propongono di versare 1.500 euro, ma quello è l’ammontare della sua pensione. Chiede ancora uno sconto. E dopo un po’ arriva la controproposta. Scrive un avvocato: “Ho parlato nuovamente col senatore (che senatore non è più, ndr). Mi ha detto che è disposto a 1.200 in due mesi. Se va bene risponda ‘ok va bene’ o frase analoga”. Milleduecento euro a rate: ok, per chi una reputazione non l’ha più, il prezzo è giusto.
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