domenica 14 agosto 2022

Travagliamente

 

La pagliuzza e le travi
di Marco Travaglio
Da due giorni i media non parlano d’altro che dell’ennesimo non-problema: B. annuncia il presidenzialismo (come fa dal 1994 e come facevano prima di lui il maestro Gelli, il compare Craxi e la pochette di quest’ultimo, Amato) e aggiunge che, se cambiano i poteri del capo dello Stato, Mattarella deve dimettersi. Ovvietà lapalissiana: perché mai, altrimenti, Umberto II di Savoia si dimise dopo la vittoria della Repubblica sulla Monarchia al referendum del 1946, anziché restare re a vita? Si può essere pro o contro il presidenzialismo (noi siamo ferocemente contro); ma nessuno può sostenere che, se sventuratamente fosse approvato, l’ultimo presidente della Repubblica parlamentare non dovrebbe cedere il passo al primo presidente della Repubblica presidenziale. Mattarella, da buon costituzionalista, lo sa: infatti tace e lascia straparlare i difensori d’ufficio, che lo trattano come un santino, una reliquia e scambiano un normale discorso politico per un golpe. “Errore drammatico”, tuona Letta: ma non perché B. vuole il presidenzialismo (che piace ad ampi settori del Pd, da Amato in giù, e non scandalizzò nessuno quando Giorgetti candidò Draghi al Colle per “guidare il convoglio”, cioè il governo, da lassù); bensì perché evoca le scontate dimissioni dell’inquilino del Quirinale.
Lo stesso giorno B. candida il collega imputato Schifani a presidente della Sicilia. Questo sì è un vero scandalo: infatti il Pd non fa un plissé. E così garantisce i consueti vantaggi indebiti a B. anche nell’ottava campagna elettorale: le tre tv incostituzionali, i conflitti d’interessi, la mancata attuazione della legge 361 del 1957 sull’ineleggibilità dei concessionari pubblici e il silenzio sulla condanna definitiva e le 9 prescrizioni, i 4 processi per corruzione, l’indagine per le stragi mafiose, i finanziamenti ventennali a Cosa Nostra. Letta e i media fingono scandalo per le pagliuzze, non potendo denunciare le travi che rimuovono da almeno 11 anni: da quando nel 2011 Pd e giornaloni benedissero il governo Monti con B., nel 2013 il governo Letta con B. e nel 2021 il governo Draghi con B. e Salvini. Nel 2012 Letta dichiarò che la sua bussola era l’Agenda Monti, ergo “preferisco che i voti vadano al Pdl (cioè a B. e Fini, ndr) piuttosto che disperdersi verso Grillo” e sognava un “campo largo da Casini a Vendola”, senza Di Pietro né tantomeno il M5S. Ora insegue l’Agenda Draghi: “Con FI abbiamo lavorato bene”. E a gennaio disse che B. non poteva andare al Colle non per la questione morale e penale, ma “perché è un leader di partito, dunque divisivo”. Poi capì di avere esagerato e si scusò: voleva dirgli bricconcello. Quando B. candiderà Messina Denaro, questi diranno che veste cheap.

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