l patto del silenzio sulla guerra
GARA ALL’ATLANTISMO - Il soldato Letta ha sacrificato il Pd, e non solo il suo partito, sull’altare della Nato. Ma gli elettori devono poter scegliere liberamente un governo che non sia succube di Bruxelles e Washington
DI DOMENICO GALLO
Il messaggio di Medvedev che invita gli elettori europei a punire quei governi che – a suo dire – hanno fatto delle scelte idiote, applicando alla Russia delle sanzioni che si sono rivelate controproducenti per gli interessi europei, ha scatenato un putiferio di reazioni indignate da Letta a Calenda, da Di Maio a Guerini, e ha provocato una riunione d’emergenza del Copasir per valutare la sussistenza di rischi per la sicurezza nazionale. Quindi fra il polo di destra, il centro e il polo di centrosinistra si è scatenato il rimpallo delle accuse di putinismo agli avversari. Letta ha dichiarato: “Putin ha deposto la scheda nell’urna e vuole cambiare il corso della politica estera italiana che con Draghi è stata molto netta – aggiungendo – dobbiamo confermare questa scelta ed è chiaro che il voto del 25 settembre sarà anche su questo”. Forse Letta non si rende conto che il richiamo alla politica estera di Draghi è un’arma spuntata se usata contro la Meloni, che si è dichiarata più atlantista di Draghi, per cui non si capisce per quale motivo gli elettori di “fede atlantica” dovrebbero votare per Letta piuttosto che per Meloni.
Del resto tutta questa levata di scudi contro l’ingerenza della Russia nelle elezioni italiane è una barriera di fumo destinata a occultare il vero problema: il patto del silenzio fra tutti i partiti sulla gestione della guerra e delle sue conseguenze. Più che dolerci dell’ingerenza russa nelle elezioni italiane, realizzata attraverso un tweet, forse dovremmo dolerci dell’ingerenza Usa sulla formazione dei governi e sulle scelte politiche conseguenti, fondata su elementi molto più robusti. Ingerenza che, a volte, si è manifestata in modo particolarmente violento, basti pensare alle minacce di morte che il Segretario di Stato americano dell’epoca rivolse ad Aldo Moro, il 25 settembre 1974, per farlo desistere dal suo progetto di aprire le porte del governo ai “comunisti”. Ingerenza che non è mai cessata se, il giorno dopo il discorso al Senato di Conte che, esponendo il programma del suo primo governo il 5 giugno 2018, aveva manifestato dei dubbi sul mantenimento delle sanzioni alla Russia, decretate a causa dell’annessione della Crimea, il Segretario Generale della Nato Jens Stoltenberg è intervenuto a gamba tesa, dichiarando che le sanzioni non potevano essere rimosse, cioè intimando al governo italiano di non rimuoverle (come in effetti è avvenuto).
In realtà se i partiti italiani hanno cancellato il tema della guerra, questo non significa che la guerra non eserciti una pesante influenza sulla campagna elettorale italiana. L’effetto principale è stato il sacrificio del soldato Letta. Il 22 agosto sono scaduti i termini per la presentazione delle liste ed è divenuto definitivo il quadro delle formazioni politiche che si affronteranno nella competizione elettorale. Dobbiamo constatare con amarezza che sono caduti nel vuoto gli appelli rivolti da più parti per la costruzione di un’alleanza antifascista nei collegi maggioritari per contrastare l’avvento di una destra illiberale, nemica giurata della democrazia costituzionale. Ormai è sicuro che nei collegi uninominali ci sarà un solo candidato su cui si concentreranno i voti della destra, mentre i voti di tutte le altre forze politiche saranno divisi fra il candidato del Pd (con appendici di Più Europa e Sinistra italiana), il candidato dei 5 Stelle, quello di Calenda-Renzi e quello di Unione Popolare. In queste condizioni è altamente probabile che la destra faccia cappotto e conquisti una maggioranza parlamentare che vada ben oltre il 50%, consentendole di realizzare i suoi progetti più pericolosi per la democrazia. Quest’esito largamente prevedibile non è frutto del fato cinico e baro, ma di una precisa scelta politica del segretario del Pd, che ha rotto l’intesa stipulata in precedenza con il Movimento 5 Stelle (il c.d. campo largo), accettando stoicamente la (prevedibile) sconfitta.
Diciamo la verità, una scelta così apparentemente inspiegabile deve avere una ragione profonda e, da un certo punto di vista, nobile. Quando c’è una guerra in corso si richiede alle truppe più fedeli il massimo spirito di sacrificio. Il soldato Letta si è sacrificato sull’altare della Nato, che certamente non avrebbe gradito la partecipazione al governo italiano di una forza politica il cui leader ha avuto l’impudenza di dichiarare che non obbedisce agli ordini di Washington. Peccato che questo sacrificio non riguarda solo il Pd ma, consegnando il Paese nelle mani di questa destra illiberale, a essere sacrificati sono i diritti fondamentali dei cittadini italiani e il bene pubblico della democrazia costituzionale. La guerra, sebbene scomparsa nella campagna elettorale delle principali forze politiche italiane, tuttavia è piombata pesantemente nella campagna elettorale, sconvolgendo gli equilibri fra le forze politiche e orientando i risultati elettorali (sia che vinca la destra, sia che il Pd miracolosamente risalga la china) verso la nascita di un governo di stretta fedeltà atlantica, che non ponga nessun ostacolo al prolungamento della guerra in Ucraina, fin quando vuolsi così colà dove si puote ciò che si vuole.
Tuttavia, memori delle tragedie del passato, testardamente noi continuiamo a pensare che dalla guerra non si esce con la guerra e che la violenza bellica non può essere spenta con una violenza soverchiante di segno opposto, che la sicurezza collettiva non si costruisce con la corsa agli armamenti e con la rincorsa delle minacce.
Per questo chiediamo che sia rotto il patto del silenzio e che il tema della costruzione della pace sia fatto rientrare nella scheda che depositeremo nell’urna.
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