A Schifani finisce
di Marco Travaglio
La pur lodevole mobilitazione contro la famigerata fiamma nel logo di FdI rischia l’effetto boomerang come la campagna del 1993-’94 contro B. “Cavaliere Nero” perché alleato col “fascista” Fini. Fini fece la svolta diuretica di Fiuggi, definì il fascismo “male assoluto” e lasciò gli antifa senza parole, mentre la destra più impresentabile d’Europa faceva disastri che non c’entravano nulla col Duce, ma molto con malaffari, interessi privati e collusioni mafiose. Trent’anni dopo siamo daccapo. Tutti a parlare della fiamma e degli spostati che salutano romanamente, nessuno a ricordare i veri motivi che rendono questa destraccia – sempre la stessa, leader a parte – pericolosa. Nessuno tranne la destraccia, che in Sicilia scarica Musumeci per candidare Schifani. Musumeci è un vecchio fascistone, militante antimafia e soprattutto incensurato. Schifani, a lungo indagato per mafia e poi archiviato, è imputato per rivelazione di segreti a Montante, il noto prenditore e finto eroe antimafia condannato a 8 anni in appello per associazione per delinquere.
I dettagli della carriera giudiziaria di Renatino li trovate a pag. 3. A me capitò di parlare su Rai3 dei suoi rapporti con personaggi poi condannati per mafia e di fare una battuta sullo scadimento delle istituzioni nel 2008, quando divenne presidente del Senato. Rep mi attaccò e l’interessato mi fece causa. Il Tribunale civile mi diede ragione sulle liaisons dangereuses e m’impose un risarcimento di 16mila euro per la battuta. Ora che il nostro si candida alla Regione, dopo che gli amici pregiudicati Dell’Utri&Cuffaro si son ripresi il Comune di Palermo, ho riletto la sentenza. C’è scritto che i suoi rapporti societari con personaggi poi condannati per mafia sono “vicende di sostanziale verità”. E “deve chiedersi a chi ricopre incarichi pubblici l’assenza di zone d’ombra nella propria storia professionale, o, perlomeno, una rivisitazione critica di eventuali inconsapevoli contatti avvenuti in passato con soggetti, oggetto di indagini giudiziarie anche successive, che ne hanno dimostrato l’inserimento (o quanto meno la contiguità) in organizzazioni criminali operanti in un territorio identificabile quale proprio bacino elettorale”. Giusto dunque denunciare “la sua indegnità a ricoprire la seconda carica dello Stato per via delle sue passate e appurate frequentazioni”. Tanto più che Schifani mentiva anche nell’atto di citazione, tentando di ingannare il giudice con affermazioni che “non corrispondono a verità”. Siamo così combinati che, se fosse eletto, potrebbe persino riuscire nell’ardua impresa di far rimpiangere il predecessore fascista.
Ps. La Russa dice che Schifani è stato scelto in una “rosa di tre nomi” proposta da B.. Non osiamo immaginare gli altri due.
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