martedì 17 luglio 2018

Travaglio!


“Da anni non guardo il Tg1 per motivi d’igiene personale” è da Hall of Fame!

martedì 17/07/2018
Signorsì e Signornò

di Marco Travaglio

Da anni non guardo il Tg1 per motivi di igiene personale. Quindi non conosco Claudia Mazzola, la telegiornalista inserita dai 5Stelle nella cinquina di aspiranti candidati al nuovo Cda Rai messi ai voti sulla piattaforma Rousseau. L’unica cosa che so di lei è quel che leggo sui social, stupiti dal fatto che i 5Stelle la candidino dopo che quattro anni fa Rocco Casalino l’aveva duramente attaccata sul blog di Grillo per un suo servizio, accusandola di “disinformazione”, “propaganda del governo” e “vergogna”; e alcuni parlamentari M5S avevano chiesto le dimissioni sue e dell’allora direttore Mario Orfeo. Il che mi basta e mi avanza per sperare vivamente che Claudia Mazzola, se ha i requisiti di competenza, entri nel nuovo Cda Rai. Sarebbe il primo caso, nella storia repubblicana, di lottizzazione all’incontrario: cioè di un partito che premia nel “servizio pubblico” un suo avversario, vero o presunto. Se pensiamo ai Cda precedenti, o anche solo all’ultimo (pieno di ex parlamentari o di portaborse che a stento distinguono un televisore da un forno a microonde, con un paio di lodevoli eccezioni, fra cui di Carlo Freccero, indicato dai 5Stelle senz’averli mai votati), sarebbe un enorme passo in avanti. E una sorprendente prova di intelligenza e apertura mentale da parte di un movimento che spesso compie sforzi immani per apparire stupido e intollerante almeno quanto i partiti che dice di combattere.

Per lo stesso motivo sarebbe una gran cosa se Conte e Di Maio confermassero a presidente dell’Inps un illustre economista come Tito Boeri. Nominato da Renzi malgrado il grave handicap di non essere toscano e di non appartenere al Giglio Fradicio, Boeri era entrato quasi subito in rotta di collisione col presunto rottamatore (che voleva cacciarlo già un anno fa), mostrando un’indipendenza che ora lo rende immune da qualunque sospetto di collusione con i partiti. È vero: l’ha fatta fuori dal vaso con la seconda relazione tecnica al decreto Dignità che, con criteri economicamente molto dubbi, prevede un crollo di 8 mila contratti a tempo determinato all’anno (e perché non 6,5 o 9,7? Boh). Un oracolo che ha lo stesso valore scientifico di un oroscopo e che la Ragioneria dello Stato – quella sì sospettabile di remare contro il nuovo governo, all’insegna del motto di tutti gli Ancien Régime: “Quieta non movere et mota quietare” – ha subito colto al balzo per dare una mano alle solite lobby. Ma i governi intelligenti le voci critiche e autorevoli come quella di Boeri devono attirarle e incoraggiarle, non respingerle. Evitare accuratamente di circondarsi di yesmen.

E , fra un Signorsì e un Signornò, preferire sempre il secondo. Il potere dà alla testa e avere a tiro qualcuno che ti aiuta a non sbagliare e a tenere i piedi per terra è la migliore garanzia di successo e di longevità. Se, al posto della sua corte di tirapiedi & leccapiedi toscani, Renzi si fosse circondato di tanti Boeri (che invece restò rara avis, e sempre in bilico) in grado di contraddirlo, avrebbe capito per tempo quand’era il caso di fermarsi. Un attimo prima di varare la Buona Scuola, il Jobs Act e altre boiate che gli inimicarono milioni di italiani. Un istante prima di schiantarsi sulla Costituzione, sull’Italicum e sul Rosatellum. E un secondo prima di stroncare sul nascere il dialogo con i 5Stelle, per gettarli fra le braccia di Salvini. Anche B. si era giocato due governi su tre per non aver saputo ascoltare prima Bossi, che rovesciò il primo sulla riforma delle pensioni, e poi gli alleati centristi e finiani, che lasciarono il terzo in dissenso sull’economia e sulla legalità.

Chi pretende cieca obbedienza e fedeltà assoluta, cioè le virtù dei cani e i vizi degli uomini stupidi, resta solo con un branco di bestie e di cretini. E si suicida. È il rischio che corrono ora i nuovi detentori del potere, se non sapranno scegliersi i collaboratori giusti, cacciando i veri nemici con un sano spoils system e conservando o attirando i veri amici. Anche se oggi, nella strana alleanza giallo-verde, le forze centrifughe sono molto più spiccate che nelle coalizioni precedenti, perché il governo Conte non si regge su un’alleanza strategica fra partiti contigui, ma su un’unione tattica suggellata da un contratto fra due contraenti diversi, se non opposti, e certamente concorrenti. Estinta FI e disperso il Pd, la dialettica maggioranza-opposizione si gioca tutta nell’area di governo. E addirittura in seno al contraente maggiore: i 5Stelle, che lasciano convivere varie anime molto diverse e talora contraddittorie (attorno a Di Maio, Grillo, Fico e Di Battista), mentre la Lega appare per ora (ma fino a quando?) un monolite plasmato a immagine e somiglianza del capo assoluto Salvini, che come il duce ha sempre ragione e non viene mai messo in discussione da alcuno.

Al momento, l’assenza di voci critiche dal fronte leghista potrebbe indurre Di Maio a tacitare le voci critiche dentro e fuori i 5Stelle per strillare più di Salvini e contendergli la scena. Ma sarebbe pura miopia. Se l’opposizione tace perché non sa cosa dire, le diversità nel movimento e nel governo vanno non solo tollerate, ma incoraggiate come un valore aggiunto e un’opportunità per il futuro. Non è affatto detto che il potere logori chi ce l’ha e che il 32% del 4 marzo sia una vetta ineguagliabile da cui si può solo scendere. I primi successi raccolti in Europa sui migranti da due figure mediaticamente inconsistenti come Conte e Moavero dimostrano che gli strilli quotidiani alla Salvini non pagano. Alla lunga gli italiani ubriachi di sparate potrebbero stufarsi e preferire uno stile di governo sempre intransigente nei fatti, ma più tranquillizzante nei toni. Allora chi avrà più frecce al proprio arco vincerà. E chi ne avrà una sola, magari spelacchiata, perderà.

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