E certo! Il non plus ultra del radical chic, il tedoforo della spocchia travestita da sinistra, puntigliosamente, ossessivamente segnala quella che per lui è appunto un’anomalia, una mancanza di spettacolarizzazione della politica che tanto piaceva al mondo dorato, finto casual, di partecipazione alle altrui disgrazie sotto gli ombrelloni di Capalbio, tra “evve” moscie impiantate per evidenziare un distacco dei pensatori sinistri, arricchitisi alle spalle degli emarginati, di cui i presenzialisti alla Zucconi necessitano per ergersi, con lauti compensi, fingendo di occuparsene, tra una verticale di Krug e l’altra.
Manca appunto il proscenio, la smargiassata, il rutto politico, la comparsata, la visita ai terremotati pregna di promesse ricostruttive mai in seguito realizzate. Mancano gli Zucconi con penna iridescente, notai puntigliosi, cronisti ineccepibili del fuorviante, del “ci pensiamo noi a far valere i vostri diritti calpestati, noi che abbiamo studiato e sappiamo come dirimere la matassa”, mentre assaporano un caviale del Baltico niente male.
Più che all’elettricista, a Zucconi manca il faro illuminante la scena, i flash, le assemblee di potenti, i belati di Confindustria ossequiante il potente di turno, i titoloni sul nulla, le promesse dell’Ebetino usate neppure dalle tate per addormentare marmocchi. Gli manca tanto a Zucconi la centralità della sua opinione, i latrati dei mestieranti di politica, la vanità del Bullo, la smodatezza della figlia del vicedirettore etruriano; ingredienti oramai datati, scaduti, da riporre nell’organico. Come Zucconi.
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