La Russa: “Vogliamo rispetto dai magistrati. Riscrivere nella Carta i confini tra i poteri”
di Tommaso Ciriaco
Presidente La Russa, partiamo dal fallimento del modello Albania. Lei dice: c’è una zona grigia tra politica e giustizia. Per lei un pezzo di magistratura agisce mosso da fini politici?
«Intanto perché parlare di fallimento? Comunque le rispondo: può darsi che ci siano singoli casi, ma non sono la regola. Penso piuttosto che alcuni magistrati vogliano affermare la propria visione di società e della politica attraverso la giurisdizione. Leggo che Santalucia dice: la nostra è una Costituzione progressista. In realtà l’hanno scritta cattolici, liberali, comunisti, conservatori. Capisco che possa affermare che è permeata da spirito antifascista, ma non è progressista».
Credo intendesse che tende alla realizzazione dei principi fondamentali che enuncia.
«Non sia criptico. Per me se dice progressista intende progressista. Che, nel senso comune, oltretutto, vuol dire “di sinistra”».
Torniamo alle accuse di uso politico della giustizia.
«Nei casi grigi a volte si intende affermare la propria visione del mondo. Questa lettura forse può spiegare la sentenza sul centro in Albania».
Insisto: davvero credete che un pezzo di magistratura voglia far cadere il governo?
«Io dico una cosa completamente diversa: la destra, che vuole governare, vorrebbe rispetto per le prerogative della politica. Ed è per questo che dobbiamo chiarire questa zona grigia. Perché altrimenti non si capisce quale sia il confine tra le funzioni della giustizia e quelle della politica. Insieme, in modo concorde – maggioranza, opposizione, magistrati – dobbiamo perimetrare questi ambiti. La lite non funziona».
La Russa, esiste già la Costituzione che chiarisce. Cosa propone?
«Le chiedo: a chi spetta definire esattamente i ruoli della politica e della giustizia? Alla Carta costituzionale. In passato tutto sembrava funzionare. Dopo Tangentopoli non è più stato così. Ci sono magistrati che vanno oltre, dando la sensazione di agire con motivazioni politiche. E ci sono d’altro canto politici che hanno il dente avvelenato con i giudici. Se la Costituzione non appare sufficientemente chiara, si può chiarire meglio».
Propone una riforma complessiva del Titolo IV?
«Perché no, potrebbe essere utile una riforma che faccia maggiore chiarezza nel rapporto tra politica e magistratura. Perché così non funziona».
Intanto però la destra si scaglia contro i giudici di Roma per la sentenza. Lo fa anche Meloni. Le sembra normale?
«Una sentenza si può criticare. È sempre successo, a destra come a sinistra. Nordio l’ha definita abnorme. Significa: fuori dalla norma».
In realtà il messaggio è: la magistratura esonda, per questo è necessario intervenire. E Meloni prende la mail di un magistrato che la critica e la rilancia sui social.
«L’ha solo ripubblicata, senza commentarla. E ha fatto bene. Cosa può dire di più a un magistrato che dice a un altro magistrato di voler contrastare il governo e definisce pericoloso il premier?».
La Russa, non eravate la destra che rispetta i giudici e che esalta Borsellino? Sembrate Berlusconi.
«La destra nella sua storia è sempre stata “dalla parte dei giudici”. Solo noi abbiamo candidato Borsellino al Colle. Eravamo al fianco di Mani pulite, forse oggi possiamo dire: anche troppo. Non è in discussione il rispetto della magistratura che appartiene alla nostra storia».
Salvini che avverte i giudici che risponderanno dell’eventuale stupro commesso da un immigrato rimesso in libertà le sembra un linguaggio che favorisce il dialogo?
«La frase non mi è piaciuta. Ma statisticamente è proprio come dice Matteo: spesso sono senza fissa dimora e lavoro, la loro cultura considera in un altro modo le donne, per questo è più probabile che commettano crimini. Poi, certo, si poteva dire in modo più elegante, ma la sostanza non cambia».
Può sembrare razzismo, diciamo. Senta, state per approvare un decreto per stabilire i Paesi sicuri per legge: tutto normale?
«Io non sono al governo. Però la invito a considerare che sono i giudici ad essersi assunti il compito di decidere quali sono i Paesi sicuri. Una scelta molto sorprendente».
Seguendo la Corte di giustizia Ue.
«Questione di sottile interpretazione. Di certo dicono che siano sicuri Egitto e Bangladesh. L’Egitto lo conosco bene… Voglio andarci in vacanza a Natale, per visitare le piramidi e non solo. Quindi non è sicuro neanche per me?».
Non parliamo di lei, ma di singoli casi e di Paesi dove c’è chi rischia la tortura o la discriminazione.
«Se uno straniero fa la richiesta di asilo e la ottiene, non verrà mai rimpatriato. Ma per gli altri, le leggi di un Paese valgono esattamente come per me che ci vado in vacanza. Alba Parietti, definita la coscia lunga della sinistra, dice che Milano è del tutto insicura: per questo l’Italia lo è?».
Le sembra il giusto registro? Parliamo dell’Egitto, un Paese che ha ucciso Giulio Regeni.
«Non è da un singolo caso che si definisce la sicurezza di un Paese. Altrimenti qualcuno potrebbe dire che l’Italia non lo sia per il caso Shalabayeva. O che non lo siano Francia e Brasile, che ospitavano brigatisti, o i Paesi come gli Usa dove vige la pena di morte».
Il governo sceglie la via del decreto: non rischia di forzare la mano al Colle? Trapela una “attenzione” del Quirinale.
«Non mi risulta assolutamente e non credo, perché il decreto è uno strumento previsto dalla Costituzione. Non ci sono campi per cui vale e per cui non vale: conta solo necessità e urgenza».
Ma non le sembra uno schiaffo al Colle, oltreché ai giudici?
«Perché cercare di tirare in mezzo Mattarella? Deciderà il governo se procedere per decreto, valutandone l’opportunità. E toccherà al Presidente valutare se ci siano quei requisiti previsti dalla legge».
Ma si può dire liberale un governo che legifera per decreto sui rave, parla della Gpa come reato universale quando si può fare varcando il confine, che sceglie per legge i Paesi sicuri contro i giudici?
«Capisco cosa intende, ma il governo deve essere democratico e non genericamente liberale: è questo è democratico. Semmai vedo un difetto di confronto. Io, da Presidente del Senato, l’ho sempre cercato. Servono forze politiche disposte a cercarlo».
Non è onere della maggioranza?
«Di entrambi. E semmai di più dell’opposizione, per convenienza: la maggioranza ha comunque la strada dei numeri».
Sa qual è la sensazione? Che vogliate ridurre le prerogative dei giudici. Imitare Orbán?
«Questa è una domanda o una affermazione di parte? Perché questa è la visione dell’opposizione. Ce n’è un’altra, almeno altrettanto valida, che dice che è la magistratura ad esondare».
Tutto questo scontro per dodici migranti. E con il rischio di un danno erariale. Ne valeva la pena?
«Si vuole inviare un messaggio ai trafficanti: se venite clandestinamente in Italia rischiate di finire in Albania. Li scoraggia. Non sono soldi buttati, semmai investiti per invertire una tendenza».
Spesso nella storia il diverso, lo straniero è stato confinato altrove, lontano dagli occhi.
«Non è questo il caso. C’è semmai la paura di diventare il ventre molle dell’Europa, dove chi arriva in qualsiasi modo avrebbe la certezza di poter restare».
Questo scontro con i giudici può portare Meloni a chiedere il voto per avere pieni poteri?
«Non ho alcun indizio del genere. E poi cosa cambierebbe? E poi cosa cambierebbe se invece del 26 prende il 28 o il 24%? Non credo che Giorgia voglia pieni poteri, le basterebbe poter esercitare quelli che le riconosce la legge».
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