Quella “difesa della razza” che ancora agita Meloni&C.
LE ORIGINI DI UN INSULTO DISUMANO - La lingua stravolta. Il libro del filologo Lino Leonardi ricostruisce la derivazione dal francese del termine: che riguarda le mandrie di animali e offende gli uomini
DI TOMASO MONTANARI
Il rapporto della Commissione europea contro il razzismo e ‘l’’intolleranza che ha suscitato la (comprensibile) rabbia dell’estrema destra al governo e (l’incomprensibile) stupore del presidente Mattarella, fotografa un’Italia (e in particolare un apparato di polizia, una politica, un discorso pubblico) ancora razzista: verso i neri, i migranti, gli omosessuali. In generale, poco capace di comprendere il valore della diversità.
Nelle 48 pagine del rapporto, la parola “razza” è sempre scritta tra virgolette: per far capire che la razza non esiste, ma i razzisti, che invece ci credono, esistono eccome. Quando, al contrario, il presidente della Regione Lombardia Attilio Fontana ha detto: “Dobbiamo decidere se la nostra etnia, la nostra razza bianca, la nostra società devono continuare a esistere o devono essere cancellate”, ecco lui le virgolette non le ha usate. E nemmeno Giorgia Meloni le usa quando, nel libro-intervista di Alessandro Sallusti, dice: “la razza è cosa siamo fisicamente, l’etnia è cosa siamo culturalmente”. Si tratta di affermazioni da brividi, innanzitutto sul piano cognitivo.
Perché la genetica e la biologia hanno da tempo dimostrato che le razze umane, semplicemente, non esistono. L’unica specie Homo sapiens, tutta originata da un nucleo primigenio in Africa (!), non conosce suddivisioni genetiche: i caratteri esterni (il colore della pelle, per esempio) non sono il segno di un bagaglio genetico uniforme tra chi li possiede identici. E dunque “razza” è una parola che si può usare per gli animali, ma non per gli umani.
A fare definitivamente luce sull’origine e la storia di questa parola maledetta arriva ora un bel libro di Lino Leonardi (Razza. Preistoria di una parola disumana, il Mulino 2024), che insegna Filologia e linguistica romanza alla Scuola Normale di Pisa. Vi si ricostruisce come, nel 1959, Gianfranco Contini riuscì a stabilire definitivamente che “razza” non deriva dal latino “ratio” (la stessa parola che porta a”‘ragione”), come invece si credeva, ma arriva in Italia (nel Duecento) dal francese “haraz”, che significava mandria, e allevamento, di cavalli. E continuerà a significarlo molto a lungo, come dimostra (tra i tanti esempi citati da Leonardi) il fatto che, all’inizio del Cinquecento, Teofilo Folengo scriva, nel suo meraviglioso latino maccheronico: “Hinc cavallorum bona razza crescit”.
Sarà poi dall’italiano che si diffonderà, nel Quattrocento, in tutte le lingue europee. Lo stesso Contini, soddisfatto, commentava: “Per l’appoggio terminologico di tanta abiezione, ferocia e soprattutto stupidità, quanto è più ricreativo avergli scovata una nascita zoologica, veterinaria, equina!”.
Come scrive Leonardi, si tratta di un “caso formidabile in cui la scoperta dell’origine di una parola può cambiarne la percezione e l’uso, può accompagnare e determinare la sua trasformazione da nobile segno di eccellenza e di distinzione a specifico marchio di bestialità”. E, tuttavia, molti vocabolari delle principali lingue europee non accolgono di fatto ancora oggi questa evidenza scientifica, rimanendo ancorati al superato, e nobile, etimo: “ratio”. Perché? Per la forza inerziale dei vecchi, autorevoli, repertori etimologici, certamente. Ma forse, suggerisce Leonardi, anche “perché il discorso pubblico … non ha più percepito l’urgenza di tornare a ribadire il significato primo e più profondo di quel termine abusato, dando per scontato il superamento dell’abiezione razzista”. Gli studiosi non vivono fuori dalla società, e ciò che era urgente chiarire per un antifascista e partigiano come Contini, lo era assai di meno per la generazione successiva, che immaginò di essersi lasciata per sempre alle spalle tutto quell’abisso di odio, ignoranza, atroce violenza. Per la stessa ragione, oggi il tema torna purtroppo attuale: se la presidente del Consiglio di un grande Paese come il nostro, usa la parola “razza” per definire ciò che siamo fisicamente, è urgente dire che, no, “razza” è una parola che non si usa per definire fisicamente gli umani. Perché è una parola che ha un’origine, e poi un uso, radicalmente “disumani”.
Il libro di Leonardi si chiude con una meravigliosa citazione dal Convivio di Dante – il Dante che questa destra ha provato, tragicomicamente, ad accaparrarsi come padre ideale –, in cui si dice che “sanza dubbio, forte riderebbe Aristotile udendo fare spezie due dell’umana generazione, sì come delli cavalli e delli asini”. Aristotele riderebbe, sì, ma noi abbiamo purtroppo meno da ridere: perché quelli che credono che l’umanità si divida tra chi sta sopra e chi sta sotto per diritto di sangue e per colore della pelle, sono tornati al governo di buona parte dell’Occidente. L’unico modo per sconfiggerli è aprire gli occhi ai nostri concittadini: a ciò serve anche un libro come questo, scientificamente esemplare e civilmente consapevole. Perché, davvero, che razza di idiota deve essere chi sul serio crede che gli umani si dividano in razze?
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