Perché Matilde è tutti noi
di Michele Serra
Se sapessi davvero scrivere riuscirei a spiegare meglio di come sto per fare perché la morte della giovane campionessa di sci Matilde Lorenzi mi ha così addolorato, e credo molti come me anche se non la conoscevano, e hanno saputo di lei solo nel momento dell’esito.
Ci sono morti più ingiuste, più nere, e ben più insopportabili per i modi e le cause. Specie parlando di ragazze. Matilde è morta facendo la cosa che più amava al mondo, sciare nel sole e nella luce, scendere velocissima, in solitudine, lungo il fianco del monte, trasformando l’inclinazione in ebbrezza, la legge di gravità in destrezza.
Chiunque abbia sciato conosce quella gioia inesprimibile, quella leggerezza dinamica, quello spolverio gelato, l’aria fredda alle tempie e il sibilo delle lamine sulla neve che è subito alle spalle. Matilde era in quella dimensione magnifica, in quel perfetto equilibrio quando la sua traiettoria è impazzita e il suo corpo ha perduto il controllo e ha perduto la vita.
Non aveva ancora vent’anni, che possiamo dire di lei che non suoni stupido, retorico, risaputo? Forse possiamo dire, come la sua compagna di nazionale e di stanza Carlotta, che nelle prossime gare, a dicembre, «di sicuro saremo in due».
Nei muscoli di Matilde, nel suo talento, nella sua giovinezza, nella sua bellezza, nella sua velocità, insomma in Matilde come era e come sarà sempre, ci ritroviamo tutti, anche un sedentario attempato come me, che ho figli ben più grandi di lei. Anche chi non ha mai sciato, e però ha vissuto e dunque conosce la felicità.
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