Gentilona
di Marco Travaglio
Non so come gli studiosi della psiche umana chiamino lo strano fenomeno che attanaglia Giorgia Meloni. Non il vittimismo aggressivo, né la mania di persecuzione, né la sindrome di accerchiamento, né la “proiezione” che la porta a imputare alle opposizioni parole e toni troppo forti contro di lei, che in piena pandemia diede leggiadramente a Conte del “criminale”. Parliamo dell’inclinazione ad attribuire a se stessa cose mai fatte. Tipo ieri, quando in Senato ha chiesto alle opposizioni di votare per Fitto commissario europeo, come lei crede di aver fatto nel 2019 con Gentiloni: “Mi auguro che tutte le forze politiche italiane si facciano parte attiva presso le proprie famiglie politiche europee affinché questo risultato per la nostra Nazione sia raggiunto rapidamente senza inciampi. Ci sono momenti in cui l’interesse nazionale deve prevalere su quello di parte. È quello che noi abbiamo fatto nella scorsa legislatura sulla nomina di Gentiloni, quando proprio Fitto – in rappresentanza di FdI – si espresse a favore del candidato italiano e conseguentemente il gruppo di Ecr votò in suo favore”. Non si sa dove si sia sognata la circostanza, che negli atti non trova riscontri, ma solo smentite.
A meno che non si riferisca al suo post del 9 settembre 2019, prodigo di elogi per Gentiloni: “Un politico che gli italiani hanno bocciato, hanno mandato a casa e che il M5S ha fatto rientrare dalla finestra grazie al patto della poltrona con il Pd. Gentiloni è l’uomo perfetto per non cambiare nulla in Europa, difendere gli interessi della finanza speculativa e rafforzare l’egemonia franco-tedesca”. E chiamò addirittura la gente in piazza. Cinque giorni prima anche Fitto, che allora sedeva proprio nel Parlamento europeo, aveva espresso tutta la sua fiducia e la sua stima al commissario italiano: la sua nomina – dichiarò magnanimo – costituiva un autentico “sovvertimento di ogni legittimità democratica. Chi perde governa, nomina ministri e commissari europei sonoramente bocciati dai cittadini”. Un viatico beneaugurante che non poté non agevolare l’iter di nomina di Gentiloni, dimostrando la granitica e patriottica compattezza dei rappresentanti della Nazione italica, a prescindere dalle appartenenze. Patriottismo che emerse in tutto il suo fulgore anche al momento del voto del Parlamento europeo sulla nuova Commissione: il gruppo conservatore Ecr – il cui coordinatore, il belga Johan van Overtveldt, aveva votato in commissione pro Gentiloni – si spaccò: una parte disse Sì alla squadra di Ursula e un’altra No. E a dire No furono proprio i conservatori italiani di FdI. Casomai gli specialisti non avessero ancora dato un nome a questo strano fenomeno, ne avremmo da suggerire uno: paraculaggine.
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