La destra si mangia la Gnam: chi protesta viene “segnalato”
GALLERIA NAZIONALE ARTE MODERNA - Egemonia? Il comizio del libro di Bocchino con La Russa, il prossimo party con Meloni e Angelucci: un museo ridotto a vetrina. I tre quarti del comitato scientifico hanno lasciato
DI TOMASO MONTANARI
In un paese normale, le dimissioni di tre quarti del comitato scientifico del più importante museo di arte moderna porrebbero al nuovo ministro della Cultura un enorme problema pubblico: e da noi? I tre studiosi (Federica Muzzarelli, Augusto Roca De Amicis e Stefania Zuliani) hanno deciso di lasciare “alla luce della politica culturale recentemente adottata dalla Galleria Nazionale d’Arte Moderna, le cui linee non sono state definite attraverso un sereno confronto con il Comitato Scientifico” e “anche in considerazione delle ultime vicende conseguenti alla presentazione del libro del direttore del Secolo d’Italia tenutasi lo scorso 3 ottobre in Galleria alla presenza del Presidente del Senato Ignazio La Russa. Una sede istituzionale, e quindi di tutti, è stata usata per una manifestazione di carattere eminentemente partitico senza un adeguato confronto preliminare. Chi ha sempre lavorato per le istituzioni trova difficoltà ad inserirsi in questo nuovo contesto”.
La prosa controllata dei tre accademici non nasconde il problema: la direttrice, Renata Cristina Mazzantini, non garantisce né una linea scientifica condivisa con l’organo che esiste esattamente a questo scopo, né la minima, necessaria, indipendenza dal potere politico. In altre parole, la Gnam rischia di non essere più un museo, ma un altoparlante di questa destra vorace, ossessivamente alla ricerca di ciò che chiama, del tutto impropriamente, egemonia culturale, e che invece è una brutale occupazione di posti, stipendi, visibilità, potere: che spesso produce un avvizzimento delle stesse istituzioni culturali, come alla Quadriennale di Roma sul cui stato attuale viene censurata la voce dell’ex direttore Gian Maria Tosatti. La Gnam non è in un periodo brillante: la risibile mostra su Tolkien, offerta dal compianto Gennaro Sangiuliano a Giorgia Meloni come un mazzo di fiori (una cosa che nemmeno in Corea del Nord…); la progettata e rinviata mostra apologetica sul Futurismo, nel cui comitato scientifico siede… Osho; la decisione lunare di sbarazzarsi degli archivi di Anton Giulio Bragaglia e di Carla Lonzi… E ora l’indecente comizio di Italo Bocchino e Ignazio Benito La Russa, condito dalle minacce di Domenico Gramazio, detto il Pinguino (uno che ha detto che “il fascismo non ha avuto responsabilità nello sterminio di massa degli ebrei”, e che è noto per i colloqui con Massimo Carminati…) agli spettatori che avrebbero voluto fare domande. Quel che è peggio, e che basterebbe a chiedere le dimissioni della direttrice, è che i nomi dei 40 dipendenti del Museo che le avevano scritto per chiederle di annullare un evento così inappropriato sono stati segnalati al Ministero della Cultura, e a non meglio specificate “autorità competenti”.
Se lo scopo della presentazione era sdoganare l’impresentabile eredità di chi è cresciuto nel culto di Almirante, tra busti di Mussolini e saluti romani, il risultato è decisamente un boomerang: o almeno lo sarebbe in qualunque paese che intendesse somigliare più a una democrazia che non all’Ungheria di Victor Orbán. Invece qua, sembra tutto normale: e ora si annuncia che la Gnam sarà ridotto a location della festa del Tempo, una specie di Cannes del neofascismo impreziosita dalla presenza di donna Giorgia in persona. Ma dall’altra parte bisognerebbe solo battersi il petto: perché le ‘pistole’ con cui questa destra ‘spara’ senza risparmio, le ha tutte messe sul tavolo Dario Franceschini con la sua mai abbastanza esecrata riforma dei musei. È grazie a quest’ultima che i direttori sono nominati o direttamente dal ministro, o da un direttore generale che al ministro risponde: il che significa mettere i musei nelle mani della politica. E, poi, sull’uso propagandistico del patrimonio, chi non ricorda le innumerevoli conferenze stampa di Matteo Renzi presidente del Consiglio a Pompei, con gli scavi ridotti a sfondo dell’ego smisurato del cantore del Rinascimento saudita, ispiratore della riforma Franceschini? O, ancora, la conferenza stampa dello stesso Renzi con Angela Merkel alla Galleria dell’Accademia di Firenze, con il David di Michelangelo dietro le spalle, gigante umiliato a far da testimone al potere effimero dei piccoli governanti di oggi?
Non è stata forse quella riforma a spingere i musei a diventare vetrine della qualunque, ospitando eventi che con la loro missione davvero nulla hanno a che fare? In un museo nazionale (ma in qualunque museo…) bisognerebbe presentare solo libri sul museo stesso, sulla storia dell’arte, sul patrimonio: perché i musei non sono location glamour per eventi, ma organismi vivi di ricerca, conservazione e redistribuzione della conoscenza. Quando ci libereremo di questa destra (spero prima di un ventennio, stavolta), bisognerà correggerli tutti, questi imperdonabili errori da apprendisti stregoni: perché queste cosiddette ‘riforme’ non ci hanno portati nella modernità, ci hanno consegnato alla barbarie.
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