I Mieloni
di Marco Travaglio
Spiace per Paolo Mieloni, che mercoledì a Ottoemezzo aveva celebrato la trionfale campagna d’Europa di Giorgetta&Giorgetti: “Questa è una vittoria per la Meloni: è riuscita a fare un compromesso, tenere unita la maggioranza, non avere un’opposizione che si impunta su una cosa precisa e presentarsi al resto d’Europa su una traccia”. E spiace per Bruno Vesponi, che aveva trasformato il settimanale Gente nel Cinegiornale Luce: “Grazie alla capacità e all’autorevolezza del Presidente (la Meloni, ndr), l’Italia oggi è centrale e determinante sullo scenario internazionale. Pronta a guidare quel cambiamento in Europa che attendiamo da tempo” (eja eja alalà). I due non avevano ancora riposto le lingue nelle apposite custodie che già in Parlamento finiva a schifio: FdI e Lega contro il Mes, FI pro e il ministro dell’Economia Giorgetti pro Mes che viene sconfessato dalla Lega e dalla premier, annuncia che “l’Ue ce la farà pagare”, ma non se ne va. Fortuna che i 5Stelle han votato contro, sennò sarebbe nata una maggioranza Pd-FI-M5S-Azione-Iv che avrebbe ratificato l’orrendo Mes, salvato la faccia al governo in Ue e consentito a Meloni e Salvini di recitare la parte dei nemici solitari dell’austerità, ai quali invece i sovranisti a sovranità limitata si erano appena arresi ingoiando la vera fregatura: il Patto di stabilità e crescita (si fa per dire) imposto da Germania e Francia, che ci costerà almeno 12,5 miliardi l’anno.
Quello sul Mes era un teatrino per nascondere la disfatta nella vera partita che si era giocata il giorno prima: e il Pd, col solito codazzo dei renzian-calendiani e dei giornaloni, ci è cascato. Il vero problema non è il Mes, che continuerà a tener bloccati i soldi dei contribuenti senza che nessuno li chieda per evitare lo “stigma” e la sfiga: è il ritorno dell’austerità, che penalizza i Paesi più indebitati e un vero governo sovranista avrebbe dovuto contrastare con la diplomazia: stringendo alleanze, giocando di sponda con chi ha interessi convergenti, minacciando veti e offrendo contropartite su altri tavoli. Come fece nel 2020 il neofita Conte nella partita del Recovery, ben più ardua di questa: sia perché erano in ballo 500-750 miliardi di eurobond (mai tentati prima), sia perché rifiutava il Mes che tutti volevano imporgli, sia perché l’Ue sospettava di quel premier indicato dal M5S e dalla Lega, per giunta con un ministro degli Esteri amico dei Gilet gialli. Eppure, in tre mesi di incontri e scontri fino agli ultimi tre giorni e tre notti di battaglia, il 21 luglio si arrivò all’unanimità. E l’Italia ebbe 209 miliardi, oltre 36 in più (l’importo del Mes) di quelli previsti dal piano Von der Leyen. Se sovranismo è fare l’interesse del proprio Paese, quello fu un ottimo esempio di sovranismo. Il primo e l’ultimo.
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