sabato 16 dicembre 2023

Sgarbatamente

 

Totò, Vittorio e il pennello proibito
di Marco Travaglio
Da tempo sospettavamo che il governo Meloni si ispirasse a Totò, ma ora ne abbiamo la certezza. Anzi, l’expertise. La storia l’ha raccontata Thomas Mackinson sul Fatto. Dieci anni fa Sgarbi, già condannato per truffa ai Beni culturali, presenta un libro al castello di Buriasco (Torino), visita la pinacoteca e valuta tutti i quadri tranne uno del ’600: la Cattura di San Pietro di Rutilio Manetti. Poco tempo dopo il suo amico-assistente-autista Paolo Bocedi si presenta alla proprietaria e le chiede di venderglielo, ma lei rifiuta. A stretto giro arrivano i ladri e lo rubano, tagliando la tela e lasciando lì la cornice. È il febbraio 2013. La proprietaria denuncia il furto ai carabinieri. A luglio Sgarbi manda al restauratore Gianfranco Mingardi una tela arrotolata senza cornice, con un lembo strappato e un pezzo incollato sul retro con lo scotch: è la Cattura di San Pietro di Manetti. Mingardi la restaura e la riconsegna a Sgarbi. Il quale nel 2021 inaugura una mostra a Lucca con un pezzo forte: la Cattura di San Pietro, un “inedito di Manetti” di sua proprietà. Peccato che sia identica a quella rubata, salvo due dettagli: una candela sullo sfondo (come se qualcuno l’avesse aggiunta alla maniera di Mister Bean, per far credere che esistano due quadri gemelli) e le dimensioni ridotte di 15 cm per lato (come se qualcuno l’avesse tagliata). Ora Sgarbi dice di averla trovata in una villa da lui acquistata nel Viterbese: peccato che fosse un rudere vuoto e invaso dagli sterpi, senza tetto né cancello. Anche il restauratore lo smentisce: “È lo stesso dipinto: si vede dalle imperfezioni come le gocciolature, un bravo copista mai le avrebbe riprodotte. La candela, quando lo restaurai, non c’era”.
E qui interviene Antonio Scorcelletti ( Totò, Eva e il pennello proibito di Steno): un copista dell’“arte assenteista” (“nelle mie opere manca sempre qualcosa”) che diventa complice involontario di una truffa al museo madrileno del Prado. Deve dipingere una Maja in camicia (da notte) identica, se non per l’abbigliamento, alla Maja desnuda e alla Maja vestida di Francisco Goya, da vendere per 200 milioni come “inedito” del grande pittore. Ma poi si fa prendere la mano e sforna pure le Maja in mutande, in pagliaccetto, in reggiseno, in bikini e così via, prima di passare a Raffaello. E si autocompiace per i capolavori: “Ma guarda tu, la Maja di questo Goya è identica alla mia: tutti sono capaci di fare, il difficile è copiare!… Non bisogna sottovalutare il copista: cosa accadrebbe se un copista si mettesse a creare? Qualsiasi pittorucolo si sentirebbe autorizzato a copiare i copisti e dove si andrebbe a finire?”. Scorcelletti va a finire in galera. Sgarbi invece è sempre sottosegretario.

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