La carne da cannone
DI MICHELE SERRA
Secondo una fonte sicuramente parziale, ma non minore e non disinformata (l’intelligence americana), nella campagna per la sottomissione dell’Ucraina più di trecentomila soldati russi sono stati uccisi o feriti. In nemmeno due anni. Anche volendo fare la tara a questa cifra (molto maggiore dei caduti americani in Vietnam in vent’anni), o addirittura dimezzandola, è comunque la fotografia di un’ecatombe. Sul fronte opposto, in mancanza di una conta “ufficiale”, le vittime di guerra sarebbero comunque molte decine di migliaia, tra i quali almeno diecimila civili morti sotto i bombardamenti russi e nei rastrellamenti dei villaggi.
Ci si domanda se questa ecatombe stia avendo un suo peso nel dibattito politico in Russia, o in quel poco che ne rimane; se in qualche modo, in qualche conversazione, in qualche riflessione, quel numero è considerato nella sua inaudita gravità, cioè come uno sperpero scandaloso di vite; o se è solo messo nel conto dei “costi patriottici”, e bastano le commemorazioni, le medaglie, il cordoglio delle autorità a riempire quel buco mostruoso, scavato dal potere nel corpo del popolo, e bastano infine a rabbonirlo, il popolo.
Dicono gli esperti di cose militari che questa guerra, che è di trincea e nel fango, ricorda da vicino la Prima guerra mondiale.
Sicuramente il numero esorbitante dei morti dà l’idea di un corpo a corpo antico come la più antica delle guerre. Si parla molto dei guasti della tecnologia, troppo poco della permanente ferocia primordiale che le uniformi riescono malamente a mascherare, e la tecnologia sa solo assecondare. La guerra è ancora, soprattutto, “carne da cannone”, come si disse più di un secolo fa dei fanti mandati a scannarsi per maggior gloria delle Nazioni.
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