Schiavisti. L’Italia è una Repubblica fondata sullo stage (non retribuito)
di Alessandro Robecchi
Eroe del giorno, lo stagista ignoto. Anzi ignota, perché è una ragazza quella che a Tirrenia, vicino a Pisa, ha reagito con “lancio di oggetti”, segnatamente “portaceneri”, contro le pareti di un bar “danneggiandole”. Ira funesta. Ha scoperto l’ultimo giorno dietro il bancone (lo riportano piccole, timide cronache) che il suo “stage lavorativo” non sarebbe stato pagato. Niente. Zero. Nemmeno un euro. Insomma ha lavorato gratis, l’ha saputo a lavoro fatto, e non l’ha presa bene, giusto, vorrei vedere voi. Ecco che l’Italia degli stagisti, dei sottopagati, degli stagionali, dei tirocinanti, dei lavoratori a chiamata, degli eterni precari, ha la sua Spartacus. Solidarietà.
Il fatto è che la nostra stagista ignota ha soltanto arricchito per un giorno con una minuscola, quasi invisibile sfumatura, le appassionanti cronache sul mercato del lavoro nazionale, cronache che sono state invece occupate dalle esternazioni del ministro del Turismo Garavaglia, preoccupato per la stagione, la ripresa, la prima gloriosa estate post Covid, alla quale mancano tra i 300 e i 350 mila lavoratori stagionali pagati solitamente come Spartacus (gli detraggono le catene). La proposta del ministro, in soldoni, è quella di prorogare il decreto flussi per gli immigrati, cioè permettere l’arrivo di più stranieri che facciano quei lavori per cui non si trova manodopera, per esempio gli stagionali in bar e cucine della Penisola. Mancano cuochi, sguatteri, lavapiatti, realizzatori di cappuccini, servitori di gelati.
Le storie italiane sul lavoro parlano di contratti poveri o poverissimi, di accordi sulla parola (retribuzione un po’ regolare e un po’ no), di durate risibili, trucchi, orari pazzeschi, il tutto coperto da quella deliziosa coltre di vergogna rappresentata dalla vulgata briatoresca che “i giovani non hanno voglia di lavorare”, mentre se hai voglia diventi milionario e ti compri la Bentley.
E siamo ancora lì (uff), al famoso Reddito di cittadinanza che impedirebbe il corretto sviluppo della dinamica tra domanda (ti domando di lavorare dodici ore a due euro l’ora) e offerta (col cazzo). Insomma, non so se amate l’implacabile dispiegamento della legge del contrappasso, ma vedere un leghista che chiede più stranieri per fare lavori sottopagati ha un suo fascino. Il famoso “prima gli italiani” va letto dunque come “prima gli imprenditori italiani”, e per i lavoratori invece non ci sono preferenze etniche: va bene chiunque accetti condizioni semi-schiavistiche e non faccia mancare braccia all’estate.
Arriva subito – ma ti pareva – l’artiglieria di rinforzo: non solo il tweet di Matteo Renzi (e vabbè) che dice “il Reddito di cittadinanza è follia”, ma anche tutta quella corrente letteraria di baristi, ristoratori, albergatori che si sbraccia: li paghiamo bene! Benissimo! Un florilegio. Offro mille! Offro duemila! E poi, appena si va a leggere sotto il titolo a effetto, ecco che quei mille euro sono spalmati su centinaia di ore, festivi, notturni, niente permessi, sabati e domeniche, soprusi, angherie. E idee belluine, come quella di un ristoratore di Genova che ha buttato lì la sua proposta: “Mancia obbligatoria per legge, così avremo più dipendenti”. Ecco fatto, da reddito a mancia, che ci voleva? Resta da cambiare un articoletto della Costituzione, il primo: una Repubblica basata sulla mancia. Diciamolo, è ben trovata, ma siccome la realtà impone di guardare avanti, già me la vedo applicata alla sanità: “Non ci deve niente, signora, ma dia la mancia al chirurgo”.
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