Zelensky e i piccoli Stoltenberg da spiaggia
di Antonio Padellaro
“Dovrà essere Kiev a decidere quale pace accettare”. Lo ha detto Mario Draghi nell’informativa alla Camera. “Il diritto di Kiev a combattere per la sua sovranità integrale non rende questo obiettivo strategicamente assennato”. Lo ha scritto su La Stampa Charles A. Kupchan, professore di Relazioni internazionali alla Georgetown University. Queste due frasi, rese pubbliche giovedì scorso, hanno in comune soggetto e oggetto: Volodymyr Zelensky. In modo più sfumato e allusivo il premier italiano, con una prosa incisiva e argomentata l’analista americano, entrambi ci stanno dicendo che senza una mossa del presidente ucraino perfino un temporaneo cessate il fuoco resta una chimera. Subito gli Stoltenberg boys (in partenza per Capalbio con l’elmetto da spiaggia) ammoniranno chiunque osi esprimere un giudizio non conforme al catechismo Nato: non scherziamo, è il criminale Putin che si oppone a qualunque tregua e dunque il sostegno militare all’Ucraina dovrà proseguire costi quel che costi. A nulla servirà spiegare loro che secondo l’intelligenza delle parole i verbi “decidere” e “accettare” non sono affatto, come essi fanno finta di credere, il rinnovo perpetuo di una cambiale in bianco. Bensì, al contrario, una rispettosa ma incalzante richiesta di procedere verso una pace “accettabile”. Che può e deve significare “accontentarsi di un esito diverso dalla vittoria” (Kupchan). Poiché, già a settembre, il prezzo politico dell’invio di armi pesanti e quello salatissimo connesso al fabbisogno energetico (nelle mani di Putin) e alle sanzioni contro Mosca potrebbero ricadere pesantemente sulla Ue, e dunque sull’Italia. Infatti, “le interruzioni alla catene di approvvigionamento e l’innalzamento dei prezzi in molti Paesi potrebbero determinare una insufficienza alimentare globale” (Kupchan, in sintonia con gli analisti più accreditati). Per non parlare delle incombenti emergenze umanitarie. Nel frattempo, la resa ai filorussi, su ordine di Kiev, del battaglione Azov a Mariupol viene vista dai più ottimisti come un concreto segno di disponibilità da parte di Zelensky. O forse come un modo per liberarsi dell’ala militarista più intransigente. Oppure, chissà, come un boomerang per l’uomo di Kiev quando gli eroici combattenti sfileranno (e parleranno) nei tribunali di Putin come la prova vivente (il tempo che occorre) di quanto fosse necessaria la “denazificazione” del Donbass. Eh sì, piccoli Stoltenberg, alle volte la guerra è un affare complicato.
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