giovedì 6 maggio 2021

L'Amaca

 

Napoleone e i suoi giudici
di Michele Serra
La storia della Francia non è virtuosa né terribile, è complessa». Lo ha detto uno dei curatori della mostra commemorativa su Napoleone Bonaparte. La frase, ineccepibile, e applicabile a quasi tutte le storie nazionali e a quasi tutte le biografie dei protagonisti della Storia, suona però disperata. Perché spende un concetto — la complessità — che è attuale come la locomotiva a vapore o le lampade a carburo. Se la complessità delle vicende umane (luci e ombre, ragioni e torti, e tutte le sfumature intermedie) fosse un criterio di giudizio di uso corrente, il novanta per cento delle polemiche sui social svanirebbe come il peto di una mosca.
Nessuno liquiderebbe Napoleone come un “misogino razzista”, anche se, in linea con i suoi tempi, lo fu. Nessuno lo esalterebbe come puro demiurgo della laicità e della modernità, anche se, in punta di baionetta, lo fu, eccome se lo fu. Le imputazioni cretine (come quella di “militarismo”, che rivolta a un tizio che per tutta la vita non ha fatto altro che guerre equivale ad accusare San Francesco di francescanesimo) sembrerebbero finalmente cretine. Le richieste di rogo postumo, idem. Le pretese di beatificazione patriottica, anche.
La parola stridula, l’anatema, e la parola celebrativa, l’esaltazione fessa, rimarrebbero appannaggio di minoranze ottuse.
Ma la complessità richiede il tempo e la fatica di esitare, prima di giudicare. E di studiare prima di schierarsi. È uno sfizio, un lusso, un rallentamento inaccettabile dello scoppiettante derby tra “pro” e “contro” Napoleone. Quel signore francese che ancora pretende di ammannirci la complessità: sarà senz’altro un intellettuale. Si levi di torno.

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