Travaglio raddrizza la barra del timone e, soprattutto, sfancula alla fine dell'articolo chi ammaestra dimenticando un passato che avrebbe dovuto accompagnarlo in un monastero disperso in alta montagna per agevolarne il silenzio perpetuo.
La voce del padrùn
di Marco Travaglio | 9 APRILE 2020
Ricordate quelli che “la scienza siamo noi”, quando si trattava di vaccinare i bambini pure contro le emorroidi e le unghie incarnite per far contenti la Lorenzin e Big Pharma? Quelli che “la competenza innanzitutto”, fuorché quando i competenti dimostravano che il Tav Torino-Lione è una boiata pazzesca? Quelli che “decidono gli esperti”, anche per farsi un bidé? Quelli che “hashtag io resto a casa perché lo dice il virologo”? Bene, era tutto uno scherzo. Ora sono tutti lì che strombettano di “ripartenza”, “riapertura”, “fase 2”, “prima le imprese”, “subito le fabbriche”, “appalti rapidi”, “cantieri sprint”, “sburocratizzare”, “velocizzare”, “semplificare”, “basta certificati antimafia”, “basta regole anticorruzione”, “correre”, brum brum, wroooom, roarrr, ciuff ciuff, sdeng, bang, tung, zang. Il futurismo marinettiano non c’entra. È che Confindustria ha infilato il soldino nell’apposita fessura e i suoi jukebox che si fanno chiamare “politici” o “giornalisti” han subito intonato la canzoncina giusta. Il primo è stato l’Innominabile, passato dal Burioni Fan Club al “bisogna convivere col virus” (ma convivici tu con la tua famiglia, se non ti vota contro pure quella), detto il 28 marzo mentre l’Italia registrava il primato di morti e contagi. Uno al cui confronto il Cazzaro Verde, che si accontenta delle chiese aperte a Pasqua, sembra un tipo responsabile. Lui però ha l’attenuante di non essere un politico, ma un uomo d’affari. E ora, con l’aria del passante, spiega che “chi fa politica deve prevedere il futuro”, anzi no, “il futuro lo scopriremo solo vivendo”: come lui che, nei suoi tre anni al governo, tagliò più posti letto d’ospedale di qualunque predecessore.
Ma, a parte i peli superflui come Messer Unovirgola, le cose serie sono altre: l’“informazione” all’italiana che, dopo un attimo di disorientamento, è tornata quel che era sempre stata: il megafono dei poteri economici e finanziari retrostanti. Ieri, con 525 nuovi morti e 3.836 infetti in 24 ore, le Confindustrie del Nord sproloquiavano di riaprire nel “breve periodo”. I migliori, perché i più spudorati, oltre al presidente-tipografo Vincenzo Boccia, sono gli sciur padrùn lombardi, rappresentati per uno scherzo del destino da Carlo Bonomi (Assolombarda) e Marco Bonometti (Confindustria Lombardia), una specie di matrioska dell’orrore. Il Bonomi lo ripete da sei giorni: “Riaprire tutto dopo Pasqua”. Il Bonometti, essendo meno accorto, viene fuori al naturale e si vanta persino di avere sventato la zona rossa in Val Seriana con la complicità della Regione, che sapeva dal 22 febbraio del primo contagiato nell’ospedale di Alzano.
“Ai primi di marzo con la Regione ci siamo confrontati”, si imbroda il Bonometti, “ma non si potevano fare zone rosse, non si poteva fermare la produzione. Per fortuna non abbiamo fermato le attività essenziali, perché i morti sarebbero aumentati”. In realtà è universalmente noto che, meno gente c’è in giro, meno gente muore. Ma il Bonometti ha una spiegazione tutta sua del record mondiale di morti in Lombardia: “Qui c’è una presenza massiccia di animali e quindi c’è stata una movimentazione degli animali che ha favorito il contagio, parlo degli allevamenti, e questa potrebbe essere una causa”. Peccato che gli animali non contagino nessuno. Ora voi capite in che mani sono gli imprenditori della regione più ricca d’Europa: gente che andrebbe ricoverata non in rianimazione, ma in psichiatria. Eppure sono questi babbei che, dopo avere sbagliato tutte le previsioni dalla notte dei tempi (ricordate le catastrofi annunciate in caso di No al referendum del 2016?), danno ancora la linea ai giornaloni degli affiliati a Confindustria, che a loro volta danno la linea a certi partiti, che a loro volta vogliono far fuori Conte per metterci uno del loro “giro”, un nuovo premier à la carte.
La Stampa di casa Agnelli-Elkann, quella che un mese fa titolò “Scuole chiuse: no degli scienziati” (balla totale) e poi virò sull’invasione russa, da due giorni batte sulle grancasse con titoli da Illustratofiat: “Aziende, è corsa alla riapertura”, “Il piano Conte per riaprire in due tappe”. Repubblica (stesso gruppo) dà il suo contributo intervistando per l’ottantesima volta l’Innominabile, che ripete per l’ottantesima volta “L’Italia deve ripartire”. Il Corriere, incurante di essere d’accordo col suo editore Cairo, spara “Fase 2, turni per la riapertura”, col contorno di Cazzullo: “Non basta dire ‘state a casa’”, “imprenditori e manager denunciano che le loro fabbriche in Italia sono le uniche a restare chiuse, mentre quelle dello stesso gruppo in Francia, Germania, Inghilterra funzionano” e “si perdono quote di mercato”, paraponziponzipò. Il Messaggero, che non sembra ma è di Caltagirone, fa eco: “Riaperture, prima le aziende”. Poi c’è Libero (Angelucci): “Aziende pronte a ripartire, il governo tentenna”, “I volti umani del capitalismo. Campioni di donazioni ultramilionarie”. Ma Libero sta ai giornali come l’Innominabile sta ai politici: è l’inserto satirico.
Ps. Nel vano tentativo di dimostrare sul Foglio che bisogna abolire le carceri perché lì si rischia il coronavirus più che fuori, Adriano Sofri mi insulta dandomi del “rosicchiato dalla malevolenza, oltre che stupido”, “pusillanime” e “inetto” all’“universale solidarietà umana” di cui lui invece è primatista mondiale. Mi rendo conto che rispondere con i dati (1 morto e 58 contagiati fra i detenuti contro 17.669 morti e 139.422 contagiati fuori) a questo malvissuto accecato dal pregiudizio serva a poco. Mi resta però una curiosità: se io sono “rosicchiato dalla malevolenza”, “stupido”, “inetto” alla “solidarietà umana” e “pusillanime”, lui che mandò due disgraziati ad ammazzare un commissario di polizia, per giunta disarmato, che cos’è?
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