Un gran bell'articolo quello di oggi su Avvenire nella rubrica "Agorà", un'intervista alla filosofa Luigina Mortari dal titolo "La tecnocrazia è morta ce l'ha detto il Covid"
Parte da Plutarco:
«Se vogliamo che la nostra anima sappia affrontare le intemperie non possiamo iniziare a prepararla quando siamo già in mezzo al fiume. È nella normalità che ci si organizza per l’emergenza. Ed è nell’educazione che si pongono le basi del lavoro di cura, rivolto a sé stessi e agli altri».
La rivoluzione industriale quindi secondo la filosofa, ha ridotto la filosofia ad abbellimento della concezione empirica del tempo.
Il giornalista Alessandro Zaccuri le chiede se in questo tempo è questo ciò che la filosofia dovrebbe trasmettere.
La risposta è a parer mio fenomenale:
Mentre porta allo scoperto la fragilità e la vulnerabilità caratteristiche della condizione umana, il coronavirus ci costringe ad ammettere l’insostenibilità della nostra vita quotidiana così come ci eravamo abituati a strutturarla. Abbiamo accettato l’inevitabilità di un’impostazione scientifico–tecnocratica e adesso ci accorgiamo di aver costruito un mondo fuori dalla realtà, inconciliabile con l’ordine normale delle cose.
Altra domanda: si è pensato troppo al risultato economico?
Sicuramente, e purtroppo si continua a farlo, senza comprendere che questo procedere per opposizioni non porta a nulla: è un atteggiamento schizofrenico, che si ostina a tenere separati elementi che sono naturalmente e reciprocamente connessi. Negli ultimi giorni è stata sollevata spesso la contrapposizione tra emergenza sanitaria ed emergenza economica, come se si trattasse di un’alternativa che non lascia scampo. Mettere in salvo vite, si sostiene, non può andare a discapito della dignità della vita. Ma la prospettiva cambierebbe in modo radicale se scegliessimo di mettere al centro dei processi decisionali un altro concetto, quello della buona qualità della vita. Sarebbe un modo per armonizzare tra loro fattori che, nell’esperienza delle persone, sono già compresenti e inscindibili.
Sono soddisfatto, quasi esultante davanti a queste parole! Il post pandemico deve necessariamente passare da questi concetti, dalla fortuna, nella tragedia, di aver avuto tempo a disposizione per meditare, per discernere, per ripartire nel verso giusto, l'unico, quello che ci colloca dentro ad un'umanità disprezzata recentemente da una concezione tecno-rapto-finanziaria, imperniata sul profitto a discapito dell'uomo.
Solo sperando di aver saldo il concetto il post pandemico diverrà risveglio culturale in nome di chi è stato travolto dal virus, perdendo la vita in solitudine.
Che entri in tutti i cuori l'essenziale che personalmente visualizzo nel rispetto delle persone anziane, un valore incommensurabile per noi che, risvegliati nella nostra gigantesca fragilità, necessitiamo, ardiamo della loro saggezza.
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