mercoledì 1 novembre 2023

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Big Pharma: la Ue nasconde il dossier su prezzi e brevetti
MERCATO E SANITÀ - Ritirato dal Web un rapporto sull’accesso ai medicinali: dice che le priorità dell’industria prevalgono sulla salute pubblica
DI ALESSANDRO MANTOVANI
Uno studio indipendente sull’accesso ai farmaci, commissionato dal comitato del Parlamento Ue su Scienza e Tecnologia (Stoa) e presentato il 19 ottobre, è stato pubblicato sul sito istituzionale venerdì 27 e clamorosamente eliminato dal web lunedì 30. Sul sito sono rimaste solo le slide e il video della presentazione. Il problema è che il rapporto evidenzia “il parziale disallineamento tra priorità dell’industria in materia di ricerca e sviluppo e gli obiettivi di salute pubblica”, sottolinea l’opportunità di “rafforzare il coordinamento dell’Ue su diritti di proprietà intellettuale e approvvigionamento dei farmaci” e suggerisce “la riduzione della durata dei brevetti” e “la creazione di un’infrastruttura pubblica attiva durante il processo di ricerca e sviluppo dei farmaci”. Dice, in sostanza, che il mercato da solo non assicura farmaci disponibili a prezzi accettabili, specie in alcuni campi dagli antimicrobiotici alle malattie rare.
A chiedere il ritiro del rapporto, come anticipato da Politico.eu è stata Pernille Weiss, eurodeputata danese del Partito popolare europeo (Ppe) che ha convinto il presidente del comitato Stoa (Science and Technology Options Assessment), il cristiano democratico tedesco Christian Ehler. Ufficialmente il testo è “in revisione”. Socialisti e Verdi chiedono di ripubblicarlo così com’è.
Autori dello studio sono tre economisti italiani, incaricati diversi mesi fa dal comitato Stoa: Simona Gamba del Dipartimento di Economia della Statale di Milano, Laura Magazzini che insegna Econometria alla Scuola superiore Sant’Anna di Pisa e Paolo Pertile che insegna Scienza delle Finanze all’Università di Verona. Hanno lavorato su centinaia di pubblicazioni e fonti statistiche e intervistato 24 addetti ai lavori: cinque fra ricercatori e clinici, sei rappresentanti dell’industria farmaceutica, otto esperti di sanità pubblica, due dirigenti pubblici e tre esponenti di associazioni dei pazienti. E hanno analizzato vantaggi e svantaggi delle soluzioni possibili ai diversi problemi.
Sono temi da tempo oggetto di confronto nell’Ue, specie dopo l’esperienza dei vaccini anti-Covid. Come si ricorderà un altro team di ricercatori italiani aveva fatto i conti in tasca ai produttori per concludere che centinaia di miliardi di euro/dollari di utili realizzati Pfizer/Biontech, Moderna, ecc. erano stati generati da investimenti per due terzi pubblici, cui si sono aggiunte le spese per l’acquisto delle dosi. Quello studio, commissionato dal comitato Covid dell’Europarlamento, portava le firme di Massimo Florio della Statale di Milano, membro del Forum Disuguaglianze Diversità di Fabrizio Barca, e di Simona Gamba. La proposta di un’infrastruttura pubblica per la ricerca su farmaci è vaccini è avanzata da tempo dal Forum DD come da alcuni Verdi europei. Nonostante Ursula von der Leyen e l’ala più liberista del Ppe, ne parla anche il documento sulla pandemia approvato qualche mese fa al Parlamento Ue da un’inedita maggioranza formata da quasi tutti i Socialisti e i Verdi, la Sinistra unita e alcuni settori del Ppe. Ora fra Bruxelles e Strasburgo se ne discute in vista della riforma della normativa Ue sui farmaci, su cui però l’ultima parola spetterà al nuovo Europarlamento che sarà eletto a giugno. Naturalmente la sola idea mettere in discussione i principi neoliberisti fa rizzare i capelli in testa alle Big Pharma. E alla signora Weiss che sembra averne assunto la rappresentanza politica. Del resto un mese fa Weiss era al centro di polemiche perché un suo collaboratore, secondo il quotidiano danese Altinget, lavorava anche per una società di lobbying, Operate.
“È uno studio imparziale, le risposte dei ricercatori sono state esaurienti e il loro lavoro deve rimanere a disposizione del Parlamento europeo”, sottolinea Rosa D’Amato, eletta con il M5S e ora nei Verdi. Anche l’ecologista francese Michele Rivasi chiede di rimetterlo online: “Non possiamo fornire ulteriori argomenti a favore di sospetti di censura”.

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