La fatica, i sorrisi Quanta vita a un passo dalla morte
DI MAURIZIO CROSETTI
Adue minuti dalla morte si ride e si vangano pietre. C’è tantissima vita, a due minuti dalla morte. A due minuti dalla morte ci sono i riccioli di Kevin, un affresco, un putto rinascimentale che tra qualche istante diventerà carne da cannone. C’è la sua felpa arancio e i suoi occhioni scuri, un po’ spaesati e luccicanti.
A due minuti dalla morte c’è rumore di sassi, un raschio nell’aria della notte e nel cuore. Gli operai stringono un tridente preistorico e contadino, lo usano per spostare i sassi sotto le traversine. I lavori forzati dei film abitano a due passi dalle nostre case, il loro risultato scivola sotto i treni dove dondoliamo silenziosi ed elettrici dentro esistenze ad alta velocità. Il risultato è il lavoro e il rischio di troppi poveri cristi. In questi terribili 6 minuti e 48 secondi, nel video sulla frontiera dell’incredibile c’è esattamente il lavoro che non ci immaginiamo neanche. Sì, erano operai: della specie più nobile perché più tragica. Erano ragazzi schiavi.
A due minuti dalla morte vive la nostra contemporaneità, la diretta video continua, il flusso che riversiamo nel mondo attraverso i social. Ma i ragazzi non sanno, Kevin non sa. Lui e i suoi soci, come li chiama scherzando, sono compagni di squadra in uno spogliatoio sotto la luna dove si gioca, ci si sfotte, si ride, si dicono parolacce per far passare il tempo e scassare l’attesa che è anche una sottile paura del treno che ancora deve passare. Imparare una via di fuga, immaginarla. «Di qua!» dice il ragazzo ingoiando un’altra risata, una delle ultime di una vita neanche incominciata.
A due minuti dalla morte si spostano pezzi di ferro, si svitano bulloni e si sta chini come servi. I cinque galleggiano in una luminescenza lattea e opaca. Contro il buio si stagliano aloni che sembrano anime, ma questo è anche un Far West, un cartoon di Willy Coyote, lui che s’industria inutilmente sui binari e tra poco passa il treno. Con la differenza che i cartoni animati non muoiono. A due minuti dalla morte c’è una sigaretta elettronica «che sa di merda», anche lei, come molto di quasi tutto il resto. E poi, cosa rimane? I fari per illuminare questa agghiacciante morgue nella frescura notturna dell’estate che cede nel nulla, identica, quasi d’improvviso. E la lunga teoria di lampioni che stirano l’orizzonte verso un punto che non si vede perché non c’è, il confine di gomma tra la vita e il niente.
A due minuti dalla morte ci sono domande ingenue per rassicurarsi nel silenzio. Devono ancora passare due treni? Questo tratto è già interrotto? Lo spezzone si mette sopra? Impossibile credere veramente al terrore, è per questo che i cinque operai non smettono di prendersi in giro con i loro accenti del Sud, perché ci sono cose che il tempo non ha mai cambiato, sono sempre i poveracci a doversi spostare da una periferia all’altra, da una ferrovia all’altra contro un futuro che sta per travolgerli a centosessanta all’ora.
A due minuti dalla morte si fa quel gioco che si faceva da bambini, “quando io dico re”, “quando io dico casa”, “quando io dico treno”. Quando io dico treno, ragazzi, voi dovete scappare di corsa da questa vita assassina, da questa cattiveria che vi riempie le ore perché se non si corre non si produce, se non si produce non si guadagna, se non si guadagna non si paga l’affitto e non si fa la spesa, se non si fa la spesa non si mangia, se non si mangia si muore.
A due minuti dalla morte ci sono muscoli e corpi, e il fiatone di chi sta faticando. Il rumore del lavoro bestiale è quello che frantuma le persone, anche se qui le vediamo per sempre giovani e immortali, indistruttibili. Il fumo fa evaporare le figure mentre il più piccolo tra i cinque resta da parte e gira il video che è un selfie infinito e brevissimo, l’ultima sigaretta di fronte al plotone d’esecuzione. Kevin è proprio un bambino, ha le basette scolpite con un accenno di barba geometrica, ora sta prendendo in giro Manu che chissà chi è e tra due giorni vedrà tutto su TikTok. «Mike, buttale sotto», dice Kevin, e si riferisce alle pietre bianche che sono l’andirivieni delle braccia, delle mani, della pala, del tridente.
A due minuti dalla morte, la cadenza del tempo è racchiusa negli ultimi gesti del lavoro, poi quel tempo si restringe di colpo e svanisce. Non si può che sorridere, nell’attesa del treno. Quanta vita in tutta questa fine.
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