L’anima nera di Brexit
DI MICHELE SERRA
ALondra, durante un concerto molto seguito, c’è stata una clamorosa e imprevista manifestazione anti-Brexit.
Gran parte del pubblico ha sventolato bandiere europee durante l’esecuzione di un celebre canto patriottico, Rule Britannia.
Come tutte le manifestazioni, ci sono i favorevoli e i contrari. Ma per dare un’idea degli umori dei contrari, della loro cultura politica e della loro misura umana, vale il commento, su Twitter, della animosa opinionista di destra Isabel Oakshott, per la quale Brexit è un punto di non ritorno: “I britannici non saranno mai schiavi”, scrive Oakshott citando uno dei versi del canto patriottico disturbato dallo sventolio delle bandiere dell’Unione Europea.
Decidete voi se ridere o piangere: questo, comunque, è il nocciolo di Brexit. Un nazionalismo goffo e insensato, specie alla luce del fatto che il Paese più imperialista, aggressivo e rapinoso di tutte le epoche (i romani, al confronto, furono un’associazione benefica), che ha svuotato i forzieri e rapinato le risorse del mondo intero, nella lettura “brexista” si dichiara vittima di altrui prepotenze, e assoggettamenti “stranieri”. Trascurando il fatto che l’Unione Europea è il frutto di una libera associazione, non di invasioni armate, non di Imperi imposti ai “selvaggi” come fu, in larga parte, l’imperialismo britannico.
Il nazionalismo è l’oppio dei popoli. È cervello all’ammasso, è imbroglio morale e contraffazione culturale. Forse è perfino peggio del fanatismo religioso, perché si manifesta nella forma, meno impresentabile, della rivendicazione della propria integrità domestica. Ma “casa”, per quelli come Oakshott, è il bottino della Compagnia delle Indie. Pollice verso.
Abbasso gli imperialisti, viva la libertà e l’uguaglianza tra i popoli.
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