Un red carpet per tutti?
DI MICHELE SERRA
I morti di cronaca nera, un tempo, finivano sulle pagine dei giornali con le meste fotine della carta d’identità o della patente.
Che potevano così esplicitare appieno la loro natura funerea, già evidente a scatto appena effettuato.
Oggi, specie se il protagonista ha meno di quarant’anni, qualunque sia l’accidente o il crimine che l’ha visto autore oppure vittima, finisce sui giornali on line nelle splendide configurazioni preparate per i social: tutti bellissimi, curatissimi, pettinatissimi, vitalissimi, sorridenti, sullo sfondo il mare dei Tropici o il Mediterraneo (più rara la montagna, da sempre palcoscenico di minoranza). Per distinguere la studentessa scomparsa per un tragico destino dall’attrice, l’elettrauto omicida dal consumato influencer, è necessario leggere l’articolo, perché altrimenti l’apparenza inganna: il mondo sembra un solo immenso portfolio da presentare a un casting che non avverrà mai.
Non ci sarebbe niente di male, e anzi ci si potrebbe rallegrare del significativo passo avanti estetico. Alla sfilata pallida e austera di morticini della vecchia “nera” è subentrata una folla colorata e decisamente “in tiro”, come se nel regno di Thanatos trionfasse finalmente Eros.
Non fosse per quella sensazione non consolante e nemmeno piacevole (almeno per me) di travestimento collettivo, tutti star, tutti sempre in posa, tutti da ammirare e se possibile da invidiare, come se la vita fosse un interminabile red carpet senza transenne, aperto a tutti. Purtroppo non lo è. Ma di qui in poi sarà sempre più difficile dirlo a chi ne è disperatamente convinto.
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