Proprietà e popolo Cosa dice la Carta e cosa fanno i governi
IL DISASTRO DELLE PRIVATIZZAZIONI - Il patrimonio dello Stato. L’articolo 42 della Costituzione assegna il Demanio alla “totalità” dei cittadini, perciò non dovrebbe esser dato in “gestione” ai privati
di Paolo Maddalena
La situazione economica italiana è in continuo peggioramento. Solo per fare qualche esempio, può ricordarsi che, secondo le statistiche ufficiali del 2022, i “poveri assoluti” sono circa cinque milioni e seicentomila persone, mentre sempre più carenti sono i servizi pubblici essenziali, specie quelli della sanità e della pubblica istruzione. Di questo si parla poco nei media, i cui programmi riguardano, di solito, ben altre cose, e soprattutto se ne parla poco tra la gente.
La causa di questo oscuramento delle coscienze è da ricercare, a mio sommesso avviso, nel predominio del pensiero economico unico dominante del neoliberismo, diffusosi in tutto il mondo occidentale attraverso una continua e battente propaganda, che ha indotto le menti di ciascuno a considerare l’economia del libero mercato come un dato di fatto irrefutabile e irrinunciabile, al quale non resta che assoggettarsi passivamente. È invero un pensiero balordo, poiché, come è da sempre noto, in economia il pesce grosso mangia il pesce piccolo, e avventurarsi in un mercato senza nessuna protezione di salvataggio, è pura follia. Lo si è sempre saputo e non si può fare a meno di ricordare che Gaio, giurista romano del secondo secolo dopo Cristo, pone come presupposto dell’esistenza di una sana economia la necessità della divisio tra le res extra commercium in proprietà pubblica del Popolo romano (e pertanto, inalienabili e inusucapibili, in quanto destinate all’uso gratuito di tutti), e le res in commercio, che potevano essere liberamente gestite da ciascuno. Questo perché Roma, sostanzialmente come la nostra Repubblica, era una “comunità” a fini generali, nella quale la ricchezza prodotta dal “territorio” doveva essere messa a disposizione del Popolo in modo da assicurare il miglior livello possibile di vita.
Contro questo dato innegabile, e facendo leva sull’oscuro concetto di “globalizzazione” (che i recenti eventi bellici sembrano porre in discussione), Milton Friedman della Scuola di Chicago, nel 1960, pubblicò un libro dal titolo Storia della moneta americana dal 1867 al 1960, che fece il giro del mondo, arrecando dappertutto danni immensi, con il quale affermò che: “L’essenza dell’ordine del mercato non sta nello scambio, ma nella concorrenza”; il suo obiettivo non è soddisfare i “bisogni individuali”, ma “il massimo profitto” del singolo; la ricetta per raggiungere detti fini è la seguente: a) deregulation; b) privatizzazione; c) riduzione delle spese sociali. Come agevolmente si può capire, una rovina per il popolo intero.
A questa teoria si ispirò Mario Draghi, il quale, dopo che già nel 1990 erano state privatizzate tutte le nostre banche pubbliche, il 2 giugno 1992, sul panfilo Britannia, con a bordo cento delegati della City londinese, chiese un forte aiuto politico per privatizzare l’intero complesso industriale e commerciale italiano, facendo in modo che i governi che si susseguirono da quella data privatizzassero i nostri Enti pubblici economici e le relative Aziende pubbliche. “Oggi, oltre 30 anni dopo, abbiamo il record di debito pubblico: 2.755 miliardi; l’Ocse certifica che l’Italia ha dal 2001 la più bassa produttività assoluta tra i Paesi industrializzati (secondo Eurostat in 20 anni di euro la produttività italiana è calata del 5%) con i redditi reali diminuiti del 3,8% a fronte di un aumento del 50% della Germania, e i salari più bassi dell’Ocse. Infine, secondo Bloomberg, tra il 1985 e il 2001, il Pil italiano è cresciuto del 44%, pari a 482 miliardi di euro. Nei successivi 20 anni – fatte le privatizzazioni – la crescita è stata del 2%, per 31 miliardi”. E si potrebbe continuare.
Un rimedio tuttavia esiste e riguarda sia i giuristi, sia i politici. Per quanto riguarda i giuristi, dico subito che, in generale, essi, nel passaggio dallo Statuto albertino alla Costituzione repubblicana, non si sono accorti che la “forma di Stato” era cambiata, per cui si era passati da uno Stato “soggetto singolo”, la Persona giuridica Stato, a uno Stato “soggetto plurimo”, lo Stato Comunità e cioè il Popolo. Per cui sono mutate anche le forme di appartenenza, che nel primo caso, trattandosi di un soggetto individuale”, era la “proprietà privata” (anche se talvolta era chiamata “pubblica” per la natura pubblica del proprietario), mentre nel secondo caso, trattandosi di un “soggetto plurimo”, la forma di appartenenza è diventata quella della “proprietà pubblica”, come molto chiaramente si legge nell’art. 42 Cost., comma 1, primo alinea, secondo il quale “la proprietà è pubblica o privata”, intendendo la prima originaria e illimitata, e soggetta a limiti intrinseci ed estrinseci la seconda.
Si è trattato di un errore grave. Infatti, nel cogliere la reazione popolare contro le privatizzazioni (si ricordi il referendum contro la privatizzazione dell’acqua del 2011), la Commissione Rodotà, che tanto ha parlato dei “beni comuni”, ha finito per concepire questi come oggetto anche di “proprietà privata”, addirittura proponendo, nel disegno di legge delega appositamente preparato, l’abrogazione del “Demanio”, proprio di quell’istituto che l’Imperatore Federico II aveva creato con il Liber Constitutionum, emanato a Melfi nel 1231, per contrastare l’appropriazione privata e riportare nel suo dominium eminens quei beni di rilevante interesse pubblico, come le strade (diventate a pagamento), i fiumi, i porti, le rade, le spiagge, i palazzi di gran valore, ecc., che erano caduti, nel corso dei secoli, nel dominium utile dei singoli, e sottratti all’uso pubblico, che l’Imperatore riuscì a ristabilire.
Un altro disegno di legge, comunque, è intervenuto in proposito, quello presentato in Senato il 12 maggio 2022, n. 2610, dalla senatrice Paola Nugnes e altri, che fa luce sui “beni comuni”, giustamente considerandoli in “proprietà pubblica demaniale”, alla pari degli altri “beni pubblici” (del resto, anche l’aggettivo “comune” induce a ragionare in questo senso) . Ed è da sottolineare che la “proprietà pubblica”, appartenendo, per disposizione costituzionale (art. 42 Cost.), al popolo nella sua “totalità”, non può essere concessa in “gestione” a singoli, poiché ciò comporterebbe una “scissione” tra “titolarità astratta” del diritto e “contenuto concreto” del diritto stesso, come avviene per la proprietà privata, quando il proprietario riserva a sé la “nuda proprietà” e conferisce ad altri “l’usufrutto”. Dunque, la “gestione” di “beni pubblici” non può che essere affidata a “soggetti pubblici”, idonei a perseguire realmente interessi pubblici. E altrettanto vale per i “servizi pubblici essenziali” e le “attività” relative a “fonti di energia” o a “situazioni di monopolio, che l’art. 43 Cost. considera “proprietà pubblica” o di “comunità di lavoratori o di utenti”.
Insomma, come si nota, i confini del “demanio civilistico” appaiono nettamente superati ed è arrivato il momento di parlare di un nuovo e aggiornato “demanio costituzionale”.
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