Il podio dei malmostosi
di Michele Serra
Dalle cronache della spedizione azzurra a Pechino emerge un tasso di litigiosità mai visto prima. Atlete contro atlete, atleti che si dichiarano vittime di regolamenti-truffa, allenatori ripudiati, dirigenti indignati, accorati interventi di madri, annunci di ritiro per incompatibilità ambientale.
Se ne possono trarre due conclusioni. La prima è che, rispetto al passato, siano peggiorate le condizioni di vita e di convivenza di chi scia e pattina, e siano aumentate, di conseguenza, le ragioni di attrito e di malcontento. La seconda (che mi sembra più in linea con i tempi) è che le ragioni di attrito e di malcontento siano più o meno quelle di sempre, come accade in ogni comunità promiscua; e che sia invece enormemente diminuita la capacità di sopportazione e di mediazione dei conflitti. Il tasso di suscettibilità è ai massimi storici, la capacità di incassare le offese, vere o presunte, ai minimi storici. Ciò che una volta sbolliva in mezza giornata oggi trova immediato sbocco sui social, ideali per fare di ogni pagliuzza una trave, e di ogni “io” una patria assediata.
Qualche atleta, forse più pensosa di altre e altri, non per caso attribuisce la ritrovata serenità, e la raggiunta concentrazione agonistica, all’astinenza dai social, sostituiti con un buon audiolibro. Pochi anni fa l’allenatore del Liverpool Jurgen Klopp disse, in chiave sportiva e forse non solo, che «la migliore decisione della mia vita è stata non essere sui social». Certo dispiace vedere persone che dovrebbero essere contente della propria vita (sono emerse tra mille e mille, fanno quello che amano fare) mostrarsi, come si dice a Milano, così malmostose. Hanno (quasi) tutto, tranne il tempo per accorgersene.
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