Ma in quale secolo siamo?
di Michele Serra
La Guerra fredda, la crisi di Cuba, Kennedy e Krusciov, “i russi, gli americani”, come cantava Dalla. I giornali del febbraio 2022, sull’abbrivio della crisi ucraina, sono pieni di cose che pensavamo archiviate. In che anno siamo?
In quale secolo?
Avevamo capito che la fine del comunismo fosse la fine del problema. Che il bipolarismo politico che aveva caratterizzato la seconda metà del secolo scorso fosse sepolto per sempre. Che con il Muro sarebbero caduti gli steccati ideologici (ah, l’ideologia, drago finalmente trafitto!). Che il trionfo della società di mercato avrebbe condotto a una nuova stagione magari convulsa, ma più fluida, meno ossificata, più libera e soprattutto più pacifica.
Ora capita di constatare, se ciò che conta è la realtà, che la nuova Russia non più sovietica, e anzi iper-capitalista, capace di privatizzare in un batter di ciglia un colossale patrimonio ex statale, la Russia degli oligarchi che competono, quanto a patrimonio e fasti, con i tycoon americani, è ancora e sempre “il nemico”; così come “l’Occidente” rimane, come ai tempi del Pcus, una presenza ostile e minacciosa per la grande patria russa.
Forse, dunque, non ce la siamo raccontata giusta, una trentina di anni fa, quando il capitalismo vinse per manifesta incapacità del suo avversario. Il match Usa-Russia è, diciamo così, un derby interno al capitalismo mondiale. La globalizzazione dei mercati non contiene in sé il germe della pace. Manca una globalizzazione politica, e democratica, che come diceva retoricamente il vecchio socialista Pertini, «vuoti gli arsenali e riempia i granai». Ma ai mercati interessa qualcosa della pace, oppure il budget della guerra è ancora infinitamente più interessante?
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