LA DOPPIEZZA DELLE PETROMONARCHIE
Petrolio & lusso. L’islam tacco 12
L’ENIGMA DEL GOLFO - COESISTONO CAPITALISMO SPINTO E ORTODOSSIA MUSULMANA. LE SOCIETÀ RESTANO SEMIFEUDALI, CON FEROCE SFRUTTAMENTO DEGLI IMMIGRATI. IL RUOLO DELLE DONNE, “SEPARATE” MA ANCHE EMANCIPATE
di Gad Lerner
I sovrani delle petromonarchie sono prosperati nel luogo forse più arido e inospitale del pianeta, il Golfo, epicentro di un capitalismo finanziario mondiale che è nel contempo anche il guardiano, il custode di un’ortodossia islamica sempre più contesa e insanguinata.
La doppiezza di queste petromonarchie rappresenta un vero e proprio enigma. Pensiamo al Louvre di Abu Dhabi, un museo che custodisce il quadro più costoso del pianeta: il Salvator mundi attribuito a Leonardo da Vinci che all’asta di Christie’s è stato pagato dagli Emirati Arabi Uniti 450 milioni di dollari; o al Museo Nazionale del Qatar, nella Capitale, a Doha, costruito da un’archistar a forma di rosa del deserto, nel quale verrà a breve esposto un quadro di Gauguin pagato più di 200 milioni di dollari. Tutto ciò in Paesi islamici la cui la dottrina ufficiale vieta la rappresentazione per immagini, essendo rigorosamente iconoclasta. Tale doppiezza di cultura e di relazioni economiche racchiude l’enigma del loro futuro: l’enorme ricchezza e al tempo stesso la fragilità di questa nuova forma di capitalismo cresciuto lontano da ogni concezione democratica di società liberale.
Prima della pandemia, Dubai, città degli Emirati Arabi Uniti, è stata la quarta città più visitata del mondo dopo Bangkok, Londra e Parigi. Tanti occidentali hanno trovato qui la meta dei loro affari, si potrebbe dire la Mecca degli affari. È grazie all’oro nero, al petrolio, che si è verificata la trasformazione radicale dei regimi semifeudali del Golfo, che hanno potuto costruire innaturali metropoli e allestire un sistema raffinatosi anche nell’utilizzo degli strumenti finanziari. Un mondo che sembra annunciare una possibile separazione dei destini futuri del capitalismo dall’idea della società liberale che a essa si pretendeva connaturato. Lasciando immaginare una globalizzazione che preveda una futura crescita economica, un futuro arricchimento senza diritti. Ma su che cosa si fonda questa crescita, questo arricchimento senza precedenti?
Le società del Golfo restano semifeudali. Si fondano su un rapporto “uno a dieci” tra i cosiddetti nationals, cioè i fortunati cittadini residenti titolari di passaporto, molto spesso nullafacenti, in grado di vivere di rendita, “seduti” su una condizione di privilegio che si fonda sullo sfruttamento degli altri dieci: i non cittadini immigrati. Soltanto nella città di Dubai si contano 300 mila nationals e 3 milioni di immigrati che vivono in una condizione semplicemente servile. Sono emigrati per lo più dallo Sri Lanka, dalle Filippine, dall’India, dall’Asia, dall’Estremo Oriente per svolgere le mansioni più umili, sia nell’edilizia che nella cura domestica e che vengono retribuiti mediamente 300/400 dollari al mese lavorando spesso fino a 60 ore alla settimana. Quando ho visitato in Qatar, a Doha, i cantieri per la costruzione degli stadi di calcio e delle linee di trasporto veloci per i Mondiali del 2022, mi ha impressionato vedere quanto spesso venisse violata la regola secondo la quale è proibito lavorare dalle 11 del mattino alle 16, cioè nelle ore della canicola più assoluta. Ma i lavoratori edili non hanno altra scelta, il loro passaporto è nelle mani del datore di lavoro che di fronte alla minima manifestazione di indisciplina può prenderli e sbatterli fuori. Questo è qualcosa di molto diverso dallo sviluppo capitalistico di una società liberale così come noi pensavamo fosse naturale e auspicabile. La differenza, è chiaro, la fa in qualche modo l’impronta di una dottrina ufficiale che si impersona nella figura del Monarca, perché il petromonarca è anche il custode dell’Ortodossia islamica e gode di una legittimazione dall’alto, cioè di una trasformazione degli equilibri interni al mondo islamico che un secolo fa ha spostato da Istanbul, capitale dell’Impero Ottomano, alla Mecca il fulcro della legittimità religiosa. […]
Vedere cosa è diventata oggi la Mecca, capitale dell’Islam mondiale, fa impressione perché le trasformazioni sono state radicali creando uno stridente accostamento fra materialismo edonistico e misticismo e fede religiosa. Sulla grande spianata dove ha sede la Kaaba, cioè dove è custodita la Pietra Nera, sorge uno dei grattacieli più alti del mondo, il Royal Hotel Clock Tower, 610 metri di altezza, 120 piani con delle suite di gran lusso, affiancate dalle boutique degli stilisti di tutto il mondo. Naturalmente molti fedeli ne sono infastiditi e accusano il sovrano saudita di strumentalizzare la fede religiosa ai fini del proprio potere e del proprio arricchimento. Eppure il compromesso sembra reggere. Per mantenere il potere, i ricchi hanno bisogno della religione, e quindi non possono dichiararsi meno osservanti di prima. Al massimo possono fare il doppiogioco. I Paesi del Golfo un tempo erano luoghi misteriosi, dove era molto difficile accedere per i non musulmani. Ma oggi il turismo di massa e il business hanno cambiato tutto. A Dubai non esiste quasi nessuna limitazione anche nel consumo dell’alcool, nell’indossare abiti succinti. Non esiste neppure un vero severo divieto della prostituzione in pubblico se non per l’eccezione dell’omosessualità che resta perseguita in maniera categorica. Poi ci sono le situazioni opposte. Entrare in Arabia Saudita, i veri Guardiani del Santuario, implica normative molto severe nell’abbigliamento delle donne, nella loro separazione dagli uomini in diverse attività. E poi c’è la via intermedia, quella che io chiamo del “doppio binario” che ho potuto personalmente incontrare visitando il Qatar che può già fare a meno del petrolio perché ha ancora da estrarre moltissimo gas naturale che però condivide con l’Iran, che sta dall’altra parte del Golfo, quasi visibile. E dunque, pur essendo uno Stato islamico a maggioranza sunnita e pur essendo viceversa l’Iran il capofila degli sciiti, sono costretti ad avere buoni rapporti. Il Qatar si è proposto infatti come mediatore in varie circostanze, lo ha fatto anche con i talebani che hanno un’ambasciata a Doha. Qualsiasi negoziato sull’Afghanistan passa di lì, così come sono passati di lì gli emissari israeliani ben prima della firma del cosiddetto Patto di Abramo. [..] Lo sceicco Al Thani, il signore del Qatar, con le sue quattro mogli e tutta la dinastia, continua a richiamarsi con estrema severità all’Islam wahabita, ma allo stesso tempo è protagonista di un business globale, di cui i Mondiali di calcio 2022 sono soltanto un simbolo. E allora per strada incontri delle donne che indossano il niqb, una mascherina di stoffa venduta abitualmente nei mercati, simbolo di un’oppressione medievale della donna che quando lo indossa sul volto porta anche l’abaya, cioè l’abito nero che la copre e l’avvolge completamente.
È vero, ma quante volte mi è successo, entrando in albergo, di vedere queste signore di cui già avevo scrutato il tacco 12 sotto l’abaya togliersi di dosso questi ingombri e apparire discinte in abiti sexy, e magari andare al bar a chiedere un bicchiere di whisky perché lì, nel bar del grande albergo, gli alcolici sono consentiti così come sono rigorosamente vietati altrove. Ci si adatta: è il doppio binario che naturalmente vige in ambiti ben più delicati. Il rapporto uomo-donna resta parametro fondamentale per definire i codici di una civiltà che non promette niente di buono per il futuro: non è solo una dottrina ufficiale di Stato, è l’inquietante visione di un mondo senza libertà.
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