martedì 22 dicembre 2020

Una bella persona

 


Personalmente non sostituirò Massimo Galli quale unico referente mediatico sul grave e greve tema pandemico; non lo faccio per sfiducia nei confronti di Antonella ci mancherebbe, ma reputo che in questo gigantesco casino sensitivo generato dal Bastardo, occorra fermamente ed inequivocabilmente sentire e seguire una ed una sola campana. Poi è chiaro, se mi volessi fare due risate, amare, al proposito ci sono sempre un Bassetti o uno Zangrillo a corroborare l'ambiente. 

Ma l'immunologa Antonella Viola è una "bella persona" di quelle che sogneresti di incontrare in treno su una tratta di una decina di ore. Preparata, mai fuori le righe, in questa intervista di Selvaggia ci dona moltissimi spunti per trovare la forza di proseguire nella lotta al Ribaldo;  soprattuto la frase "sogno di diventare inutile" rende l'idea di quanto siano stimolanti, spronanti le sue idee, il suo vissuto, agevolante noi tutti a ricercare quella unità, essenziale ed anticamera per la sconfitta finale del pandemico.    


Intervista all’immunologa Antonella Viola: “Sul Covid bene la scienza, meno i suoi divulgatori tv”


di Selvaggia Lucarelli

“Sogno di diventare inutile”. Antonella Viola, l’immunologa più corteggiata dai media durante la seconda ondata dell’epidemia, parla di scienza, di torte e proteine con la rara capacità di far appassionare l’interlocutore a qualsiasi cosa dica, perfino alla sua infallibile tecnica per prelevare il sangue ai pescigatto.E perché sogni di diventare inutile lo spiegherà alla fine di una lunga intervista in cui i racconti sull’infanzia sono già un chiaro indizio.

Cosa si faceva regalare da bambina?
Microscopi e telescopi, mi affascinavano l’infinitamente piccolo e l’infinitamente grande. Una volta mia mamma mi ha regalato una bambola che camminava, io dopo dieci minuti l’avevo già smontata perché dovevo capire come funzionava.

La famiglia l’aveva spinta nella direzione della scienza?
No, sono stata spinta a leggere e a chiedermi il perché delle cose. A coltivare altre passioni. Io suono la chitarra, amo la letteratura, scrivo poesie.

Che poesie?
Sappia che non le leggerà mai nessuno!

Dove è cresciuta?
A Taranto, poi dopo il diploma scientifico sono andata a Padova.

Per amore, confessi.
Va bene, se proprio dobbiamo raccontarla tutta, a 20 anni mi sono sposata.

Con chi?
Con il mio professore di Filosofia del liceo conosciuto quando avevo 18 anni, aveva undici anni più di me. Mi sono trasferita con lui a Padova perché aveva vinto un concorso lì.

E poi?
L’ho lasciato dopo due anni, per poi conoscere mio marito quando ormai avevo finito il dottorato.

Mi racconta della sua tesi?
Sì, era sugli effetti dei metalli pesanti sul sistema immunitario del pescegatto. Andavo a pescare i pesci nelle vasche con gli stivaloni e poi li addormentavo in istituto per prelevare il sangue.

Come si preleva il sangue a un pescegatto?
Mi ero fatta arrivare un libro dall’America che si chiamava Anatomia del pescegatto. Inserivo la siringa sotto la caudale, poi lo rimettevo in acqua.

Lei poi va a Basilea, al Basel Institute of Immunology.
Ero il membro più giovane, 25 anni. Ero ingenua, parlavo un inglese stentato, ma nel giro di pochi mesi ho pubblicato il mio primo lavoro su Science.

Guadagnava già bene?
Durante il dottorato 720 mila lire al mese, faticavo ad arrivare a fine mese. Quando mi è arrivato il contratto da Basilea erano 5.000 franchi svizzeri al mese, lì ho capito che la ricerca fuori dall’Italia era pagata molto bene.

Sarà stata corteggiatissima in Svizzera.
Sì, attaccavano bottone, mi dicevano “Maria Grazia Cucinotta”, era un ambiente molto maschilista. Ma ero andata con Marco, il mio attuale marito.

L’ha seguita?
Ci eravamo conosciuti a Padova pochi mesi prima della mia partenza. Lui mi ha detto “sei la mia priorità e io ti seguirò”. Poi ha trovato lavoro in Svizzera, sono stati anni bellissimi.

Un buon marito.
Be’, si sbaglia una volta nella vita, nella seconda è l’uomo che mi ha seguita! Per noi non esiste un ruolo, chi ha tempo fa. Con la pandemia io lavoro 20 ore al giorno, fa tutto lui, cucina, fa la lavatrice.

Lei ha raccontato di essere stata molestata da un superiore sul lavoro.
È stato un periodo terribile, tra rabbia e paura. Mi è capitato quando avevo già una posizione e ho reagito, ma ho visto molte carriere stroncate da queste molestie.

Il suo primo figlio nasce a Roma, dove si era trasferita.
Stavo mettendo su un laboratorio, mio marito aveva trovato lavoro a Genova, io mi sono ritrovata sola. Allattavo e davo da bere “adrenalina” a mio figlio, infatti non dormiva mai la notte! Ho pensato di smettere. Ero frustrata come madre e come scienziata.

Dopo meno di due anni però ha fatto un altro figlio.
Mi sono trasferita a Padova, dove ho diretto un laboratorio di immunologia. Lì c’erano i miei suoceri, anche i miei sono venuti a vivere vicino a me, mi hanno aiutato con i figli.

Quello è un periodo in cui vince molti premi, poi va all’Humanitas a Milano.
Sì, per andare nella città in cui lavora mio marito, ma mi succede che un articolo per cui avevo lavorato tantissimo e che era arrivato alla seconda revisione su Nature venga rigettato. Lì mi sono detta “Sto sprecando la mia vita”.

E se ne è andata di nuovo.
A Fiume, dove avevano trasferito mio marito. Lì fino al 2010 ho fatto la mamma, sono stati i due anni più belli della mia vita, quelli in cui ho imparato a fare la pasticcera, in una casa vista mare.

Non le mancava la scienza?
Stavo bene, ma mi sono detta “faccio scegliere al destino” e ho scritto un progetto per l’Erc, il Consiglio Europeo della Ricerca.

Scritto tra una torta e l’altra.
Sì. Mi hanno dato 2 milioni e mezzo per la ricerca e sono tornata a Padova, ho capito che il mio destino non era fare solo la mamma.

Diventa, tra le altre cose, direttrice scientifica al’Istituto di Ricerca Pediatrica. Poi arriva la pandemia. Un evento inatteso.
Non per chi fa il mio lavoro. Nel 2050 si pensa che la prima causa di morte saranno le malattie infettive.

Andrea Crisanti non era convinto del fatto che potesse arrivare così presto un vaccino.
Ne ho discusso spesso con lui, non ero d’accordo.

Quindi vi siete confrontati.
Spesso. Siamo pure andati a cena insieme per parlare di quello che stavamo vivendo, anche mediaticamente.

Vi siete detti “Che casino!”?
Eccome. Abbiamo parlato di immunità, di test, ora ci confrontiamo meno.

Perché?
Alcune sue affermazioni non le ho condivise, uno scienziato non deve mettere in discussione la bontà del processo scientifico.

Si sente mai a disagio in tv?
Alle domande politiche preferirei non rispondere.

La Gruber non può non fargliele.
È stimolante perché lei mi chiama fuori dal mio ruolo, ma nel momento in cui esprimo opinioni personali, temo non si distingua più quando parlo di scienza e quando si sta parlando a titolo personale di cose tipo se Conte mi sia simpatico o no.

Cosa pensava quest’estate quando suoi colleghi parlavano di virus mutato?
Mi sono sempre chiesta se fossero convinti di quello che dicevano e quindi se dovessero tornare a studiare la virologia o se il tutto fosse strumentale a una narrazione. Forse è una via di mezzo. La scienza è uscita fortissima dall’epidemia, la comunicazione della scienza ne è uscita indebolita, alcuni colleghi fanno errori inaccettabili.

Cosa dicono marito e figli della sua notorietà?
Mio marito è un fan, mi segue, mi prepara la postazione per i collegamenti tv da casa. Ai figli non gliene può fregare di meno.

Cosa vogliono fare da grandi?
Uno studia Scienza dei materiali, l’altro vuole fare film d’animazione.

Uno razionale e uno sognatore.
Guardi che la scienza è anche sogno.

Lei cosa sogna?
Se uno lavora bene diventa inutile. Spero di diventare inutile come mamma e come scienziato, perché vuol dire che il mio istituto e i miei ragazzi saranno cresciuti.

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