mercoledì 2 dicembre 2020

Meditativo


FATTI DI VITA
Tutti (e Toti) pazzi per il Natale, lo sci e la “zona bianca”

di Silvia Truzzi

Tutti pazzi per il Natale, o forse tutti impazziti. Tutti e, in primis, Toti. Il presidente della Liguria ha proposto di “Introdurre una ‘zona bianca’ per le Regioni in base al rischio Covid”. Cioè: “Oltre alle regioni in area gialla forse è opportuno inserire quelle in area bianca, per consentire ulteriori libertà come i ristoranti aperti alla sera o la possibilità di seguire la messa di mezzanotte, dove il Covid ce lo consente”. Mentre il governo sta dicendo che ci sarà il coprifuoco anche per la Vigilia e Capodanno, e perfino la Cei non fa obiezioni sull’anticipo della messa di mezzanotte, Toti invoca una fantomatica zona bianca, evidentemente improponibile. Le ragioni delle regioni sono fin troppo ovvie: “Il Natale vale 3 mesi di fatturato, ci giochiamo la finale di Champions dell’economia”, ha detto Toti (i nostri politici hanno un immaginario inquietante). E comunque: non c’è dubbio che il problema della sostenibilità economica sia fondamentale, e che il sistema dei ristori debba essere reso più efficiente e celere. Tuttavia i numeri sono quello che sono. Ora la questione di vita o di morte non è più la risalita della curva, ma l’apertura degli impianti di risalita. Un tema che inspiegabilmente assilla Toti da settimane. L’altro giorno, dopo il primo confronto con i ministri, ha detto: “Le regioni si sono interrogate sulla possibilità di riaprire gli impianti di risalita per gli ospiti degli hotel o per chi possiede un seconda casa per dare una parziale compensazione a località sciistiche o, in caso questo non sia possibile, la chiusura dei confini del Paese per evitare che il nostro pubblico vada a sciare in Paesi in cui gli impianti saranno verosimilmente aperti: la Svizzera lo sta facendo, l’Austria, la Slovenia. Non vorremmo subire oltre al danno anche la beffa di tenere chiuso e vedere persone che vanno altrove in vacanza e poi rientrano magari importando il contagio”. Cosa volete, la Liguria è rinomata in tutto il mondo per le sue piste. Cortina? Madonna di Campiglio? Selva di Val Gardena? Le piste di Monesi di Triora sono notoriamente più frequentate. Battute a parte: con 800 morti al giorno, vi pare possibile che stiamo parlando seriamente del fatto che lo sci è uno sport individuale con un implicito distanziamento in pista? All’inizio di agosto si discuteva dell’apertura delle discoteche, scelta che non si sarebbe rivelata felice (e i numeri durante l’estate non erano nemmeno paragonabili a quelli di oggi). Il ragionamento sui contagi “esteri” è oltre la soglia della comprensione: non ci si può esporre al contagio in Svizzera, ma a Bardonecchia sì?

Spostiamoci in Veneto. Ieri il presidente Zaia ha dovuto comunicare una giornata nera (107 morti). I ricoverati sono più di tremila, quasi 700 in più che nel picco della prima ondata, a marzo. Questo nonostante il virus appaia meno diffuso fra la popolazione (in percentuale rispetto ai tamponi eseguiti). “L’aumento dei ricoveri si spiega con il fatto che rispetto a marzo non abbiamo più il lockdown”. Quindi “ho detto ai ministri: se l’assembramento è il problema, deliberate su assembramento”. Sulla scivolosa questione dello sci, però, Zaia ha ribadito che una delle ipotesi potrebbe essere consentire di “sciare solo a chi soggiorna in albergo o in appartamento in una delle località di montagna”. Richiesta condivisa da tutte le Regioni interessate, a cominciare dalla Lombardia, cioè una Regione che nemmeno è riuscita a predisporre un piano di vaccinazioni contro l’influenza stagionale, che la settimana scorsa “guidava la rivolta” (Il Giorno). Ai signori della neve e delle zone bianche vogliamo ricordare che secondo uno studio tedesco a marzo Ischgl, località sciistica dell’Austria, è stata responsabile della diffusione del Covid dalla Germania alla Scandinavia. E raccomandare il ricorso alla materia grigia, quando straparlano di zone bianche.

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