lunedì 26 novembre 2018

Quella domanda


"Dunque tu sei Re?" è la domanda rivolta da Ponzio Pilato a Gesù nel vangelo di ieri che festeggiava la regalità del Figlio di Dio. 
"Dunque tu sei Re?" trasuda, è ovattata dal silenzio attorno a quell'attimo; anche se non ero presente lo immagino per forza così: Pilato gli si sarà accostato, quasi assorto nei suoi pensieri, e tutt'intorno nulla avrà fiatato, il tempo stesso avrà rallentato per questa domanda, la domanda che ci poniamo, spesso, da due millenni. "Dunque tu sei Re?" Non stiamo parlando di pura e fuorviante regalità, non tendiamo a considerare questo quesito in riferimento allo sfarzo, al luccichio di corone e scettri. Deriva la parola da rex, da regere, governare. Ma ci viene tramandata pure dal sanscrito rags che significa risplendere, colui che risplende, e da questo significato ne è scaturito nei secoli lo sfavillio di pietre preziose che hanno marchiato i sovrani. 
Dunque tu sei Re? Dunque tu sei Colui che risplende? 
Pilato aveva intravisto qualcosa, lo sfavillio nel suo cuore glielo avrà confermato: l'Uomo davanti a sé non era uno qualunque. Si, è vero stava in silenzio, sopportava le angherie, era pronto al suo destino. Ma risplendeva, inspiegabilmente di una Luce che non è di questo mondo, di una sovranità mai apparsa prima. 
Quel dubbio, quella richiesta di chiarimenti è fulcro possente su cui costruire noi stessi, la nostra quotidianità, i nostri dissapori, i dubbi, le ansie, i dolori. 
Ed è la stessa luminosità che dovremmo cercare nelle feste oramai vicine. Dunque tu sei Re? 
Vorrei tanto anch'io accostarmi, in silenzio, guidato dallo sfavillio regale, farmi trasportare lontano da tante pacchianate per assaporare l'essenziale, l'abbacinante. 
Come avrete potuto constatare, il dolore di una vicenda familiare mi sta sparigliando le convinzioni marmoree di questa immersione costante nell'effimero, nella corsa perpetua contornata dal superfluo, "black friday" e panettoni che siano. 
C'è una luce, un lumicino fumigante, scaturito dal dolore, dall'ineluttabilità della vita, dal non poter far nulla difronte a certe asperità che, forse per vigliaccheria, per pigrizia, per pavidità in questi momenti osservo, auscultando me stesso. Forse è per questo. Ma vorrei tanto almeno per una volta, concentrarmi sul silenzioso, offuscato, bistrattato attimo accogliente, sparpagliante, conflittuale, lontano da mode, da shopping, da effimere illusioni e convergente nella domanda, precisa, impercettibile, affascinante, mai saziante appieno, proferita con voce sommessa e roca, aprente scenari inconcepibili, immateriali, ancestrali, incredibili, non frutto di ragione, calcoli, soppesate culturali: "Dunque tu sei Re?"    

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