sabato 4 novembre 2017

Grazie per le risa, Daniela!

sabato 04/11/2017
IL DÉJÀ-VU
Tra padre Pio e Julio Iglesias
BERLUSCONI NEL SALOTTO DI COSTANZO - L’ANALISI

di Daniela Ranieri

Il déjà-vu è talmente stordente che si teme stia per arrivare una crisi epilettica. Evidentemente Maurizio Costanzo ha deciso di farsi tutto il codice penale perché dopo Pietro Maso, omicida dei genitori per soldi, invita (in casa sua) il padrone B., o meglio il suo pupazzo riassemblato a Merano per sembrare il B. di vent’anni fa. Non è il programma della Leosini coi criminali psicanalizzati ma L’intervista, format claustrofobico a metà tra l’Uno contro tutti del Maurizio Costanzo show e Twin peaks. B. seduto su una poltrona rossa dentro una scenografia con librerie finte disegnate sulle pareti (come nella tavernetta di Arcore) sembra un pupazzo di panno Lenci con dietro l’apertura per la mano del ventriloquo Luis Moreno. Gli occhi ridotti a un bulbo semovente dietro una fessura di carne plastificata. È un incubo.

Sulle pareti scorrono foto in bianco e nero: “Quando eri bambino”, pronuncia a fatica Costanzo sulle note de Il ragazzo della via Gluck (“gente tranquilla, che lavorava”). “Eravamo poveri”, dice l’ex uomo più bugiardo d’Italia (poi è arrivato Renzi), agitando i fogli protocollo che si porta dietro da 30 anni, vecchio trucco da cumenda. “Mi pagavano col caglio del latte, sfamavo la famiglia”. Non c’è pubblico, non ci sono applausi. Un silenzio terrificante segue ai “mi ricordo” geriatrici del Presidente e ai borborigmi di Costanzo. Sembra la sala tv di Cesano Boscone, col condannato diventato leader dei degenti.

Monumento a sé stesso, mummificato in vita, B., che per una volta è più alto del suo interlocutore, è la concrezione di un inconscio collettivo votato al grottesco. La cosmetica ormai è tanatoprassi. Tutto è teso, in quel povero corpo martirizzato da un’estetica tra Big Jim e Lenin nella teca. Quando B. sorride, si muove la carrucola del sipario.

Se si resetta l’equalizzatore del televisore, si può sentire Costanzo dirgli: “Ti manca papà?”. “Ce l’ho in casa”, fa lui, sentimentale e atroce come sempre. “L’urna delle sue ceneri l’ho messa sull’altare della cappella dove si celebra messa la domenica, la abbraccio, la bacio”. “Bello!”, fa Costanzo, e il cuore ci diventa piccolo, indeciso tra sadismo, pena, sospensione dell’incredulità, risata, collasso.

Se si fosse fatto i 4 anni di galera comminatigli, nell’ora d’aria lo avremmo sentito dialogare così. Ritira fuori la storia che di giorno era studente alla Sorbona e “di notte cantavo nei nightclub (pronuncia: naitclôb) a Place Pigalle col nome di Danielle”. Ci parte un’extrasistole, e il pensiero corre alla bislacca idea della rottamazione.

È sempre lui, metà Julio Iglesias metà Padre Pio. Sotto la calotta cranica moquettata dalla fibrina gli si agita il serpente del repertorio: “Ho dimezzato i cancri ai polmoni”, “Ho fatto terminare la Guerra fredda”… Le immagini del suo e nostro passato si sovrappongono al lui di oggi, il revenant, con la sua speciale volgarità diventata chissà come eleganza. Trump è Lord Brummel in confronto.

Poi Costanzo fa: “Andiamo per grado”, come se la trasmissione avesse qualche senso, come se fosse abitata dal logos. B. mostra un bassorilievo della Madonna che tiene in braccio Gesù. “Mamma mi ha detto ‘questi siamo noi’”. Costanzo: “Eh sì”. “Mi recai in Persia a incontrare lo scià, sua moglie e sua sorella”. Costanzo: “Embè”. “Quando durante il Mundialito saltò la corrente, mi ricordavo dov’era il quadro elettrico perché l’avevo costruito io. E fiat lux!”. Costanzo: “Embè embè”. “Le ho tentate tutte col pentapartito per chiudere la strada alle sinistre”. Costanzo: “E che non lo so”. Infine, Costanzo fa la domanda di cui il mafioso Graviano, al 41-bis, conosce da mo’ la risposta: “Vinci stavolta?”. “Penso di sì”, fa B., e lo pensiamo anche noi, che ci chiediamo quando quest’uomo verrà fatto santo.

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