Firenze, la porcata al “Cubo”: dal teatro al cemento de luxe
DI TOMASO MONTANARI
Come un triste presagio, è apparsa una sagoma nera su uno dei paesaggi urbani più sacri di Firenze, quello dei Lungarni. Leonardo Bison ha già raccontato i dettagli ai lettori del Fatto: in sintesi, Matteo Renzi sindaco decise di rottamare il glorioso Teatro Comunale ottocentesco, per costruire il faraonico nuovo Teatro del Maggio, privatizzando lo spazio pregiatissimo del vecchio teatro per una spericolata operazione edilizia di 15.000 metri quadri, che doveva portare (e ha in effetti portato) all’ennesimo complesso di appartamenti di lusso. Il Comune di Firenze cedette il teatro a Cassa Depositi e Prestiti, “e per suo tramite agli allora soci del padre del sindaco, nel frattempo diventato premier. Questi ultimi poi, colpiti dalla lentezza burocratica e dalle inchieste giudiziarie, hanno gettato la spugna e l’immobile è tornato alla Cassa, che l’ha rivenduto al gruppo Hines” (così scrisse, allora, il Fatto). La sindaca di Firenze di oggi ha dichiarato: “Non penso che si debba ragionare sui giudizi personali e sui pareri estetici quanto sui percorsi fatti”. Se i suoi predecessori non si fossero occupati di estetica, Firenze semplicemente non esisterebbe. Quanto al percorso, è come dire ‘operazione perfettamente riuscita, paziente morto’. La stampa locale massacra l’allora soprintendente Andrea Pessina: al tempo accusato di dire sempre di no, oggi di aver detto un sì. In quel momento Renzi premier minacciava di sopprimere le soprintendenze, e Franceschini ministro faceva di tutto per diminuirne il potere di tutela. Nel caso specifico, Roma tolse il vincolo monumentale al teatro (lasciandolo solo sulle facciate), il che liberò cubatura e l’altezza: su cui la Soprintendenza non poté quindi dire nulla. Sull’impatto paesaggistico la responsabilità principale era di Comune e Regione, mentre i rendering di colore – approvati dalla Soprintendenza tra pressioni di ogni tipo – sembrano prefigurare un risultato assai diverso da quello poi attuato. Ma vedremo cosa scaturirà dall’inchiesta aperta dalla Procura.
Quella speculazione edilizia fu progettata e attuata dal governo Pd di allora. Il governo Pd di oggi dovrebbe almeno avere il coraggio di dire: quel cubo è, o no, uno sfregio? Commentando la distruzione dei ponti sull’Arno perpetrata dai nazisti in fuga, Piero Calamandrei usò parole commisurate alla perfezione dei Lungarni: “E che potremo dire dei nostri ponti assassinati, di questo sbrano sanguinante con cui si è voluto straziare per sempre il volto, unico al mondo, della nostra Firenze? Quando ci riaffacciamo col cuore stretto a quei Lungarni e non troviamo più, profilato sull’oro del tramonto, quel miracolo di misurata leggiadria che era il ponte Santa Trinita?”. Ovviamente, il danno non è lontanamente paragonabile: ma purtroppo non lo sono nemmeno l’amore, e la consapevolezza della misura inalterabile di quel paesaggio unico. Oggi, una classe dirigente gravemente inadeguata, quella fiorentina, si vede affidato un patrimonio dell’umanità di livello stratosferico: e tutto si spiega con questo clamoroso décalage. Non sono gli occupanti nazisti, stavolta, a violentare Firenze. È la smania di ricchezza facile; la speculazione sul privilegio della bellezza, ereditata senza merito; la convinzione di essere la capitale del lusso estremo; la profonda ignoranza storica e insensibilità estetica: ecco cosa ha fatto affacciare sui Lungarni quella inguardabile porcheria. Se c’è una cosa peggiore della inadeguatezza delle classi dirigenti, è l’indignazione dei fiorentini comuni, sobillata solo a cose fatte da una stampa pettegola e servile. Vorrei dire ai miei concittadini, che oggi tuonano in coro contro “quel troiaio”: ma cosa vi aspettavate, continuando a votare passivamente questi politici, a supportare questi imprenditori, a mettervi in fila per le briciole che cadono dalla tavola della continua mercificazione della storia e della bellezza? Tolta la minoranza di architetti, urbanisti, storici dell’arte e attivisti che inutilmente si sgola da anni, non ci sono innocenti, a Firenze. E non parlo solo degli imprenditori, delle banche, delle fondazioni: ma anche dell’Università e del Tribunale, che hanno abbandonato, in tutto o in parte, le loro sedi storiche in centro, lasciandole alla speculazione edilizia. A tutti hanno fatto, e fanno, comodo i soldi facili della Firenze prostituita. Ma allora abbiamo almeno il coraggio delle nostre azioni, e rivendichiamolo fino in fondo lo sputtanamento di Firenze. È un bene che questa bruttissima operazione di speculazione edilizia e privatizzazione sia rappresentata da una bruttissima architettura: stavolta è tutto chiaro. Spero che quella roba rimanga dov’è e com’è: monito, punizione collettiva, monumento alla nostra decadenza. E come, guardando la Cupola del Duomo, si crede di intuire cosa fosse la Firenze dell’età di Filippo Brunelleschi, che tra duecento anni si possa capire, guardando la porcata sui Lungarni, cosa fu la Firenze dell’età di Matteo Renzi.
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