l dilemma del radical chic
di MICHELE SERRA
Oggi vi parlerò del dilemma del radical chic (dove per radical chic ormai si intende, in senso molto molto molto lato: colui che rutta solo in privato, non a tavola). Il dilemma è siffatto: quando parla, per esempio, il Bandecchi, che è una specie di Vannacci di periferia, e dice le cose brute e sommarie che si dicono da secoli quando non si hanno avuto il tempo e la fortuna di dare una forma ai propri modi, bisogna fare finta di niente oppure bisogna dirgli: suvvia, non dica così, che fa una gran brutta figura.
Il tema è più complesso di quanto sembri.
Se rimbrotti il Bandecchi (cosa che puntualmente fanno politici di vario livello, per esempio ieri avendo detto il Bandecchi le sue sconcezze su Gaza e le bambine di Gaza), non rischi di sprecare il fiato e peggio ancora di dare troppa importanza a chi la reclama senza merito, come quando i bambini dicono “cacca” e tutti si voltano? Ma se non lo rimbrotti, non rischi forse che diventi normale dire qualunque porcheria, per abitudine social o per attitudine umana, e alla fin fine ti sentirai responsabile, insieme a tanti altri, di non avere fatto nulla, quando era ancora possibile, perché il discorso pubblico non diventasse una fogna?
Di più, e di ancora più spinoso, perché si entra nell’etica pura: è giusto ignorare il bullo, lasciarlo al suo destino infelice?
Bisogna darlo per perso? O merita anche lui, ultimo tra gli ultimi, attenzione umana? E il soccorritore del bullo, a qualunque titolo (assistente sociale, pedagogista, psicoterapeuta, magistrato dei minori) come può esercitare la sua opera di contrasto, e di terapia, senza dare luogo al sospetto di sentirsi munito di princìpi superiori a quelli dei bulli? E se invece si decidesse che sì, ci sono princìpi superiori a quelli dei bulli, e tanto vale dirlo?
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