mercoledì 24 settembre 2025

Robecchi

 

Integralismi. “Dio è con noi”: trova le differenze tra Phoenix e Teheran
DI ALESSANDRO ROBECCHI
Questa faccenda che “Dio è dalla nostra parte” è vecchia come il mondo ed è resa un po’ ridicola dal fatto che lo dicono in molti, ognuno con un Dio diverso, da diverse angolazioni, con obiettivi molto differenti, per cui i casi sono due: o Dio ha svariati conflitti d’interessi, oppure c’è troppa gente che lo tira per la giacchetta allo scopo di legittimare le proprie porcate. La cerimonia di Phoenix in onore del defunto Charlie Kirk ci ha mostrato una sfumatura colossal della faccenda. Anni e anni e anni di pensiero colonialista – mannaggia a noi – ci avevano portato a considerare i fanatici religiosi come una questione di arretratezza culturale: a parlare, sparare, governare in nome di Dio erano, nella vulgata occidentale, i barbari del Sud e dell’Oriente, quasi sempre islamici, per cui erano anche diventate di moda alcune parole (“fondamentalisti”, per esempio). L’altro giorno, invece, eccoci risvegliati a osservare in tutta la sua potenza di fuoco un integralismo moderno e occidentale, ordinatamente riunito in uno stadio, affollato di magliette, cappellini, simboli religiosi e reliquie (il crocefisso macchiato di sangue), dove la parola “martire” è stata usata a piene mani, né più né meno che in una manifestazione di masse sciite che si autoflagellano, o nella retorica dell’Isis.
Certo non si scopre oggi un certo bigottismo estremista degli Stati Uniti d’America, quella faccenda un po’ stupefacente e un po’ naïf per cui nelle scuole si vieta di insegnare Darwin perché si sa che l’evoluzione è una barzelletta woke e il mondo fu creato in sette giorni, anzi sei, domenica libera. Faceva però lo stesso impressione vedere l’intero stato maggiore della prima (seconda?) potenza mondiale arringare le folle come predicatori televisivi, minacciare armageddon, chiamare alle armi, insomma considerare la religione come una specie di iscrizione a una guerra. Ecco il pastore Rob McCoy che annuncia: “Questa sera con noi c’è un ospite speciale, è Dio che ci chiede di seguire l’esempio di Kirk”. Ecco l’agit-prop Jack Posibiec che chiede alla folla: “Siete pronti a indossare la corazza di Dio?”. E vabbè, fanno il loro mestiere. Ma che mestiere fa, invece, il vicepresidente Usa J.D. Vance, quando dice dal palco che “la religione e la famiglia sono più importanti dell’istruzione?”. Oppure il ministro della Sanità Kennedy che paragona Kirk a Gesù Cristo? O il capo supremo, presidente Donald Trump, che dichiara: “Terremo alta la sua torcia della rinascita religiosa”?
La sensazione, vagamente straniante, era quella di trovarsi di fronte a un’adunata di estremisti religiosi un po’ invasati, senza turbanti o donne velate, ma con la guerra santa, quella sì. Insomma, una specie di cerimonia medievale – ancora! – però ai tempi dell’algoritmo e del cellulare, con la Bibbia presa alla lettera. Si tratta di politica, ovvio, di una destra all’arrembaggio, di una manovra mediatica per eliminare ogni voce dissidente, di un’offensiva reazionaria a cui Dio dovrebbe fornire adeguata copertura. Ma si tratta anche – a Phoenix era assurdamente evidente – di una voragine antropologica, come se la deriva dei continenti non fosse per niente in pausa, anzi, eccoli allontanarsi sempre di più. Viene da chiedersi cosa diavolo abbiamo in comune – noi europei, magari addirittura laici – con un estremista creazionista texano armato fino ai denti, disposto a giurare che Dio lavora a tempo pieno per gli Stati Uniti. Non molto, direi, non più che con un ayatollah iraniano o con un estremista indù.

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