La moltiplicazione del terrorismo
di MICHELE SERRA
Ma se i capi di Hamas, o supposti tali, si riunissero a Parigi, o a Vienna, o a Sesto Calende, Israele bombarderebbe Parigi, Vienna e Sesto Calende? La domanda non è affatto paradossale. Fa parte dell’agenda del momento, le cui pagine sono crivellate da colpi mai visti prima, che sembrano rispondere non a una “normale” logica di guerra, ma alla pazzia di uno Stato che si sente in diritto, nel nome della propria sopravvivenza, di considerare un trascurabile dettaglio la sopravvivenza altrui; la sovranità degli altri Stati; le regole (tutte!) del diritto internazionale.
Di questi colpi mai visti prima fa parte, come è evidente, anche il micro attentato alla Flotilla, probabile anteprima di una serie di soprusi e violenze ai danni di una missione non violenta. Siamo tutti qui con il fiato sospeso a chiederci fino a che punto si spingerà l’idea (autogenerata, e anche un poco autistica) del governo israeliano di essere in diritto di colpire ovunque, chiunque, nella totale assenza di vincoli, regole, rispetto. Nemmeno la sospetta complicità di Trump basta a capire come sia possibile questa cieca rincorsa allo scontro totale e, a ben vedere, all’auto-dissoluzione.
Possibile che Netanyahu e il suo sinedrio di fanatici non capiscano che ogni loro “risposta al terrorismo” moltiplica per dieci gli effetti del terrorismo, non è dissuasione che ottengono, ma al contrario la continua rigenerazione del nemico?
Tra le macerie che Israele produce in serie, e tra le bare che Israele moltiplica in progressione geometrica, il terrorismo non solo non arretra: si rinforza. Uno stato terrorista non è una risposta al terrorismo, è la sua consacrazione ufficiale.
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