Caro ministro, il paternalismo è ancora il problema
di Michela Marzano
Ascoltare le parole del ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara, pronunciate ieri in occasione della presentazione della fondazione dedicata a Giulia Cecchettin, lascia sgomenti. Non solo per il contenuto, ma per la grande confusione che le attraversa. A poco più di un anno dal femminicidio di Giulia e a pochi giorni dal 25 novembre, giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, Valditara ha mischiato tutto: narcisismo, patriarcato, immigrazione, ideologia, devianza, cultura. Il risultato? Un discorso raffazzonato e, in alcuni passaggi, esplosivo nella sua superficialità. Intervenendo in videomessaggio alla Camera, davanti anche al padre di Giulia, il ministro ha dichiarato che chi parla di lotta al patriarcato per risolvere la questione femminile avrebbe una visione ideologica.
Ha collegato l’aumento delle violenze contro le donne all’immigrazione illegale. Infine,ha ridotto il fenomeno all’immaturità dei giovani maschi, liquidando il patriarcato come una reliquia del passato.
La sensazione che si ha, alla fine del suo intervento, è che si parli ancora una volta di femminicidi senza reale consapevolezza del problema. Certo, Valditara ha ragione a dire che l’unico modo per contrastare le violenze è puntare su educazione e cultura.
Ma per diffondere cultura, bisogna prima possederla. E confondere le carte, come ha fatto lui, non aiuta affatto. Anzi, amplifica il caos e il rumore che già permeano la nostra società.
Quando si denuncia il patriarcato come radice dei femminicidi, non si parla solo di gerarchie giuridiche superate, ma di unsistema di stereotipi che da secoli strutturano e impastano i rapporti tra gli uomini e le donne. Quando si parla di cultura dello stupro, non si sta facendo ideologia, si sta solo analizzando la grammatica delle relazioni affettive. E quando si dice che le violenze di genere sono strutturali, non si sottintende affatto che le donne, per definizione, sarebbero persone deboli o miti (come ha detto Valditara) da proteggere.
Il patriarcato non è scomparso né duecento anni fa — come avrebbe sostenuto, secondo Valditara, Massimo Cacciari — né con la legge del 19 maggio 1975, che ha cancellato il concetto di “capo della famiglia”. Il patriarcato è ancora la tela di fondo della nostra società, un intreccio di suppliche,minacce, controllo e sguardi di commiserazione che circondano le donne, colpevolizzandole quando subiscono violenze — te la sei cercata, l’hai voluta, potevi pensarci prima… Quanto alla vittimizzazione, non solo è inutile, ma contribuisce anche a rafforzare l’idea secondo cui la donna, per definizione, non sarebbe autonoma. È l’abc del paternalismo, che nega alle donne la possibilità di autodeterminarsi e perpetua il messaggio: io so meglio di te cosa è giusto per te.
Che è poi il cuore stesso del patriarcato.
La vera ideologia in campo, quando si parla dei femminicidi, è il paternalismo, che si interseca perfettamente con la retorica xenofoba: quello sguardoaccondiscendente che si ha nei riguardi di chi, venendo da un altro Paese, sarebbe per forza più violento, più barbaro, più deviante, e che identifica quindi nell’immigrato il colpevole più probabile. Mentre i dati dicono tutt’altro: la stragrande maggioranza delle violenze contro le donne avviene in famiglia, negli ambienti “protetti”, quando si è accanto a persone di cui si pensa di potersi fidare. Sono mariti, fidanzati, fratelli e ex a esercitare la violenza. Non sono mostri, sono uomini apparentemente normali.
E siccome gli ultimi studi mostrano come le nuove generazioni di maschi siano ancora più violente, caro ministro, non abbiamo bisogno di confusione. Serve uno sforzo collettivo per decostruire la cultura dello stupro e costruire modelli di relazione uomo-donna radicalmente diversi da quelli imposti dall’ideologia patriarcale e paternalista. Solo così potremo davvero cambiare qualcosa.
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