Taci, tu che non sei ricco
DI MICHELE SERRA
“Musk ha trecento miliardi di dollari, come ti permetti di criticarlo?”. L’argomento può sembrare stupefacente (anche perché lo è), eppure ricorre, nelle peggiori chat in rete, con una discreta frequenza. Prima di essere un argomento classista è un argomento idiota, dunque mettiamolo nel conto: avrà fortuna. Piacerà pensare, a più persone di quanto siamo disposti a credere, che sia l’invidia il motore dell’ostilità politica a Musk. Che dire “è troppo ricco, troppo potente” non riveli uno scrupolo democratico, ma la meschina impotenza di chi vorrebbe tanto essere Musk, e non lo è.
In forme casarecce, e in scala ridotta, è un genere di ciancia (non me la sento di definirla: dibattito) che circolò dalle nostre parti anche ai tempi di Berlusconi. Visto come oggetto di inconfessata invidia da parte dei suoi oppositori, anche di chi, piuttosto che essere Berlusconi, avrebbe preferito essere qualunque altra forma di vita.
È penoso dirlo, ma i soldi come unica misura dell’essere (non dell’avere: dell’essere) sono un argomento piuttosto popolare. Lo furono, evidentemente, anche per gli storditi dem americani ai tempi del grande boom di Silicon Valley, quando non c’era tecno-miliardario che non fosse considerato un nuovo Messia progressista, e lo“stay hungry, stay foolish ” di Steve Jobs a Stanford, ottimo discorso per una convention aziendale, venne accolto come il Discorso della Montagna. Ora che quasi tutti i miliardari, secondo natura, sono tornati a essere di destra, sarà di nuovo la destra, secondo vocazione, a costruire un’aura di meraviglia e di deferenza attorno al totem della ricchezza, e lo farà cento volte più di quanto abbiano potuto farlo i confusi dem di inizio millennio. E dunque, nella ex Polis ridotta a corte dei potenti, capiterà spesso di sentire echeggiare “taci tu, che non sei ricco”.
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