Nella città devota ai soldi un grado di separazione tra picchiatori da stadio e collezionisti di clic
Un mondo dove tre minuti di dissing su Youtube valgono come il salario di qualche migliaio di rider di Glovo
La cosa più difficile è attribuire un mestiere certo ai protagonisti del romanzo milanese. Che passano dai bar della Curva a Citylife sempre in favore di pubblico
DI STEFANO CAPPELLINI
La cosa più difficile è attribuire un mestiere certo ai protagonisti del romanzo milanese. Che lavoro fa Fedez? Che lavoro fa Luca Lucci? Che lavoro fanno tutti? Tipo Taylor Mega. Dice: domande da boomer, cioè anziani nel dizionario della generazione Z. Allora benvenuti a Milano 2024, si vive con la trap e si respira coi filtri Instagram. La Breda ha chiuso, il Derby pure e anche i bar della Bovisa non si sentono tanto bene. Il lavoro si fa immateriale, non lo diceva pure quel tale con la barba rimasto senza follower?
Il capitale è la popolarità, il plusvalore è ovunque. Accendere il telefonino e fare soldi, organizzare beneficenza e fare soldi, fidanzarsi e fare soldi, ammalarsi e fare soldi. Tutto fa grano nell’era in cui il parco buoi da tosare è quello dei seguaci digitali. Nascite e morti, amici e nemici, culi e facce da culo. «A Milano se guadagni meno di seimila euro al mese non vai da nessuna parte », disse una pierre milanese concorrente aTemptation Island . Il fidanzato faceva il tramviere e non intaschi seimila euro al mese con un mestiere che si capisce cos’è. Anche per guadagnare dalla musica, dal calcio o dallo spettacolo non serve saper cantare né giocare a pallone, tanto meno essere in grado di recitare. Le canzoni della mala sono diventate le strofe strascicate dei trapper, in curva gli ex ragazzi della via Pal si sono fatti goodfellas e nelle storie social le influencer compaiono una sera accanto altycoon e quella dopo accanto al tagliagole, magari la terza sera si può presentare il primo al secondo, da cosa nasce cosa. Sentiamo chi dei tre parla stasera allaZanzara .
L’unità di misura è il clic e tre minuti di dissing su Youtube valgono come il salario di qualche migliaio di rider di Glovo. Mondi che si incontrano, talvolta, in un imprecisato piano dei grattacieli di Citylife. Qualche anno fa uscì una lista di star meneghine accusate di non lasciare neanche un euro di mancia ai fattorini. Fedez, incluso nell’elenco, fece un video di risposta per dire che la mancia è il non plus ultra dello sfruttamento capitalista, che negli Usa la danno perché gli stipendi sono bassi.
E concluse: «Questa lista puzza di fascio». La selettività dei filtri social: le liste puzzano, i soldi mai. Avvicinano tutti a un solo grado di separazione. Fedez che fa da intermediario per l’ultrà milanista Lucci e va a parlare con l’archistar Stefano Boeri per consegnare all’amico la gestione dell’Old fashion, locale ospitato negli immobili della Triennale: «Non ci potere fare l’orchestra, vi serve un club figo», spiega Fedez a Boeri. Poteva fare di quel bar sordo e grigio un bivacco di manipoli con scarpe griffate. Come da flow dell’odiato Tony Effe, come da rima dell’ostile Guè, tu sei bella/Bellucci/sei più G/di Gucci. Un posto “troppo giusto”, avrebbero detto i paninari di San Babila convinti nel 1985 che le loro Timberland costassero care, poveri cocchi. Lucci, in cambio, è investito della missione di smerciare in curva a San Siro le lattine di Boem, la bevanda lanciata da Fedez. La tua squadra del cuore ha vinto? Brinda con Boem. La tua squadra del cuore ha perso? E che differenza fa? Lucci che stringe la mano a Matteo Salvini allora ministro dell’Interno, implacabile nel difendere i confini della nazione, meno nel difendere quelli della presentabilità degli amici. Qualcuno non aveva capito bene, ai tempi delle polemiche reciproche, che Salvini e Fedez erano solo influencer rivali, come Meloni e Ferragni, come Ferragni e Lucarelli, come Lucarelli e Corona. Nell’economia dell’attenzione si monetizza tutto allo stesso modo, devi solo scegliere all’inizio il colore dei pezzi come a scacchi: buonismo o cattivismo, polizia morale o posa gangsta, mi manda Lubrano o mi manda Simba la Rue.
Domenica Fedez ha inaugurato a Roma una casa per famiglia allestita in un villino sottratto alla criminalità organizzata, progetto finanziato dalla fondazione che porta il suo nome. Ha pure polemizzato con l’assessore alla casa del Comune che si è presentato con lui all’evento: «I politici sono bravissimi a tagliare nastri». Lui invece è arrivato a Roma scortato dalla guardia del corpo Christian Rosiello, ultrà del Milan, uno degli arrestati ieri. La curva dà, la curva toglie. Gli amici ultrà rossoneri di Lucci sono finiti a fare i bodyguard di Fedez e arredare le sue storie Instagram. I trapper la chiamano: credibilità di strada. È un mischione dove non c’è più differenza tra devianza rivendicata e devianza autopercepita. Una delle accuse del dissing di Fedez contro Tony Effe è: sei figlio di un orafo. Un altro lavoro ancora riconoscibile. Se c’è da menare un influencer nemico, tipo Cristiano Iovino, Fedez e i suoi amici rossoneri si danno la punta alle tre di notte davanti a un condominio del Portello, il quartiere dove c’era il primo stabilimento dell’Alfa Romeo e ora la disfida dei maschi alfa dell’Internet. Che lavoro fa Iovino? Testimone nella causa di divorzio Totti-Blasi, per il grande pubblico.
Quelli dell’altra curva, i fascistissimi nerazzurri della Nord già gemellati con gli Irriducibili di Fabrizio “Diablo” Piscitelli, fanno uno squillo a Simone Inzaghi perché parli con il club e ottenga qualche biglietto in più per la finale di Champions a Istanbul. Gli accordi con la ’ndrangheta trapiantata da decenni in Lombardia sono già stretti. Ogni anno ci scappa un morto eccellente, perché il grano deve scorrere nelle tasche giuste. Devianza vera, ma che differenza fa? I parcheggi a te, le sciarpe a me. Business d’accatto che però a salire di livello ci mette un attimo, anzi un clic. Un grado di separazione e da Italiana drink, il bar sede informale di Lucci in mezzo all’asfalto brullo di Cologno Monzese, basta allungare un mano per aggrapparsi a un ramo del Bosco Verticale e accomodarsi in terrazza a trattare affari più rispettabili.
L’altra sera Taylor Mega, pseudonimo iper letterario di Elisa Todesco, ha rivelato in tv i retroscena delle sue storie con Fedez e Tony Effe e aveva il sussiego di chi sta vuotando il sacco sul Watergate. Numeri alla mano, provate a darle torto. Ci camperanno gli influencer “buoni” e quelli “cattivi”. Ci sarà il fact checking di Mega. Corona, che sarebbe personaggio centrale in un Ellroy milanese, ha già fatto sapere che conosce i veri motivi del tentativo di suicidio di Fedez. Milano non si ferma. L’Italia freme. Il pubblico è già con il dito sullo schermo del cellulare. Che lavoro fa il pubblico?
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